Disturbi alimentari, ancora troppe persone non si curano Analisi nel convegno a Trento

«La bellezza non ha nulla a che vedere con i disturbi alimentari». Lo ha spiegato ieri pomeriggio il dottor Aldo Genovese , responsabile del Centro di riferimento provinciale per i disturbi del comportamento alimentare dell'Azienda sanitaria, in una sala della Fondazione Caritro affollata in occasione dell'incontro organizzato da Lions Club con Arca (associazione ricerca comportamento alimentare) e associazione Mafalda Donne Trento, moderato dal direttore dell'Adige Alberto Faustini , dal titolo «Nuovi disagi della civiltà: adolescenti, corpo, famiglie e disturbi dell'alimentazione nella "società liquida».

E si è forse sfatata una delle più grandi idee errate sui disturbi alimentari.

«Se il fattore estetico ha un ruolo, lo ha forse nelle fasi iniziali della malattia - ha proseguito Genovese - d'altronde se si trattasse solo del moderno mito della magrezza avremmo molti più casi, ma qui le cause scatenanti della malattia sono nel disagio adolescenziale, questo sì è aumentato rispetto al passato, e sono multifattoriali. 

Il concetto fondamentale nei disturbi alimentari è invece quello della ricerca di controllo: si controlla il cibo perché con quello si controlla il corpo e di riflesso si cerca di controllare le emozioni e respingere la necessità di avere bisogno dell'altro». Un pubblico attento è intervenuto ieri all'incontro dedicato a disturbi che, in ambito trentino, secondo le previsioni dell'Azienda sanitaria interessano 1.300 persone, di cui però solo 300 sono in cura presso il centro dei disturbi del comportamento alimentare.

E la conoscenza del fenomeno è l'altro fattore importante da ricordare quando si parla di bulimia e anoressia, per due aspetti distinti: da una parte rimangono ancora malattie di cui le famiglie si vergognano, quasi che fosse un errore genitoriale, dall'altra il paziente chiede aiuto solo nel 30% dei casi perché, come ha spiegato la dottoressa Mariangela Bassetti , coordinatrice infermieristica del centro di riferimento provinciale dell'Azienda, «i pazienti non si sentono malati, per loro il controllo esercitato sulla malattia è la soluzione al loro disagio, al loro dolore. È andando ad indirizzare e riconoscere questo dolore che riusciamo a creare con loro quel rapporto di collaborazione e fiducia che serve per avviare una terapia di cura».

Lo scorso anno sono stati 32 in Trentino i ricoveri salvavita in pediatria - ovvero casi così gravi da richiedere immediato intervento - e di questi il 30 per cento è arrivato direttamente in ospedale: «Ciò significa - ha sottolineato Genovese - che nessuno si era accorto prima della gravità della situazione, né medici di base né altre figure nella vita del malato, quindi ancora si può fare nel riconoscimento della malattia». La terapia, altro elemento chiarificatore, coinvolge necessariamente tutta la famiglia e richiede tempi lunghi. Il tempo medio di cura dei pazienti presso il centro trentino per esempio è di due anni. 
Altro mito sfatato è che si tratti di disturbi che riguardano solo il mondo femminile: i ragazzi e gli uomini colpiti dalla malattia sono invece in aumento. In Trentino nel 2006 il 5% dei pazienti del centro erano maschi, oggi la percentuale è raddoppiata.

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