Dopo il lockdown nuove idee per un'economia "alternativa" tra crisi e decrescita "felice"

Per una parte della popolazione la vita durante il lockdown è stata occasione di riflettere sulle priorità dei valori, sugli stili di vita, su come vogliamo condurre l'esistenza.

Ora che ci stiamo affacciando di nuovo fuori, all'inizio della fase 3 non tutti vogliamo tornare al 'come eravamo', piuttosto pensiamo che cambiare, con l'occasione della ripartenza post emergenza Coronavirus, il nostro modo di vivere sia possibile, soprattutto in tema di impatto ambientale e sostenibilità.

Il 6 giugno è stata la Giornata mondiale per la decrescita, il Global Degrowth Day, che con il motto “una buona vita per tutti” promuove stili di vita più sostenibili, sani e consapevoli. Anche in Italia il Movimento per la Decrescita Felice e l'Associazione per la Decrescita hanno aderito all’iniziativa internazionale organizzando in tutto il Paese incontri, eventi pubblici e azioni per proporre alternative concrete al paradigma capitalista della crescita economica e del depauperamento delle risorse del nostro Pianeta.

In questo anno di grande stravolgimenti in tanti pensiamo “Non torniamo alla normalità, perché quella normalità era il problema” – afferma Karl Krähmer, del Direttivo Mdf – Quella normalità denunciata da anni da una miriade di scienziati che in tutti i modi hanno provato ad avvisarci dei limiti, ormai superati, di questo Pianeta.

Quella normalità che da tempo come Movimento per la Decrescita Felice proviamo a cambiare, un pezzetto di consapevolezza alla volta, un’abitudine dopo l’altra. La giornata è stata lanciata da alcuni anni per criticare la 'normalità', per avviare un dibattito su che cosa e quanto veramente ci serve, su come poter stare meglio con meno, senza lo sfruttamento dei più deboli da parte di quella parte del mondo che paventa e prospera in un’illusoria ricchezza si basa.

Cogliamo l'occasione anche quest'anno per riflettere e proporre un altro mondo possibile. Il mondo della decrescita felice, in cui una giusta quantità di benessere, distribuita equamente ci permette di vivere serenamente, godendo del patrimonio naturale, della cultura e delle ricche relazioni sociali, in armonia con l'ecosistema”.

Ecco il decalogo per cominciare ad avvicinarsi ai temi della Decrescita:

Accorciare le distanze tra produzione e consumo, sia in termini fisici che umani

Riscoprire il ciclo delle stagioni ed il rapporto con la terra

Ridefinire il proprio rapporto con i beni e con le merci

Ricostruire le interazioni sociali attraverso la logica del dono

Fare comunità

Allungare la vita alle cose, rifiutando la logica dell’ “ultimo modello”

Ripensare l’innovazione tecnologica.

Esserci pesando il meno possibile sull’ambiente, come forma di massimo rispetto per noi stessi e le generazioni future.

Ridefinire il proprio rapporto con il lavoro.

Diffondere i principi della Decrescita Felice


Così il fondatore Maurizio Pallante spiega cosa si intende con la decrescita, molto spesso demonizzata come concetto senza sapere precisamente di cosa si tratta: "la decrescita non è soltanto una critica ragionata e ragionevole alle assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci, ma si caratterizza come un’alternativa radicale al suo sistema di valori. Nasce in ambito economico, lo stesso ambito in cui è stata arbitrariamente caricata di una connotazione positiva la parola crescita, ma travalica subito in ambito filosofico.

È una rivoluzione culturale che non accetta la riduzione della qualità alla quantità, ma fa prevalere le valutazioni qualitative sulle misurazioni quantitative. Non ritiene, per esempio, che la crescita della produzione di cibo che si butta, della benzina che si spreca nelle code automobilistiche, del consumo di medicine, comporti una crescita del benessere perché fanno crescere il prodotto interno lordo, ma li considera segnali di malessere, fattori di peggioramento della qualità della vita. La decrescita non è la riduzione quantitativa del prodotto interno lordo. Non è la recessione. E non si identifica nemmeno con la riduzione volontaria dei consumi per ragioni etiche, con la rinuncia, perché la rinuncia implica una valutazione positiva di ciò a cui si rinuncia. La decrescita è il rifiuto razionale di ciò che non serve. Non dice: «ne faccio a meno perché è giusto così». Dice: «non so cosa farmene e non voglio spendere una parte della mia vita a lavorare per guadagnare il denaro necessario a comprarlo». La decrescita non si realizza sostituendo semplicemente il segno più col segno meno davanti all’indicatore che valuta il fare umano in termini quantitativi.

La decrescita si propone di ridurre il consumo delle merci che non soddisfano nessun bisogno (per esempio: gli sprechi di energia in edifici mal coibentati), ma non il consumo dei beni che si possono avere soltanto sotto forma di merci perché richiedono una tecnologia complessa (per esempio: la risonanza magnetica, il computer, ma anche un paio di scarpe), i quali però dovrebbero essere acquistati il più localmente possibile. Si propone di ridurre il consumo delle merci che si possono sostituire con beni autoprodotti ogni qual volta ciò comporti un miglioramento qualitativo e una riduzione dell’inquinamento, del consumo di risorse, dei rifiuti e dei costi (per esempio: il pane fatto in casa). Il suo obiettivo non è il meno, ma il meno quando è meglio. In un sistema economico finalizzato al più anche quando è peggio, la decrescita costituisce l’elemento fondante di un cambiamento di paradigma culturale, di un diverso sistema di valori, di una diversa concezione del mondo.

È una rivoluzione dolce finalizzata a sviluppare le innovazioni tecnologiche che diminuiscono il consumo di energia e risorse, l’inquinamento e le quantità di rifiuti per unità di prodotto; a instaurare rapporti umani che privilegino la collaborazione sulla competizione; a definire un sistema di valori in cui le relazioni affettive prevalgono sul possesso di cose; a promuovere una politica che valorizzi i beni comuni e la partecipazione delle persone alla gestione della cosa pubblica. Se per ogni unità di prodotto diminuisce il consumo di risorse e di energia, se si riducono i rifiuti e si riutilizzano i materiali contenuti negli oggetti dismessi, il prodotto interno lordo diminuisce e il ben-essere migliora. Se la collaborazione prevale sulla competizione, se gli individui sono inseriti in reti di solidarietà, diminuisce la necessità di acquistare servizi alla persona e diminuisce il prodotto interno lordo, ma il ben-essere delle persone migliora. Se si riduce la durata del tempo giornaliero che si spende nella produzione di merci, aumenta il tempo che si può dedicare alle relazioni umane, all’autoproduzione di beni, alle attività creative: il prodotto interno lordo diminuisce e il ben-essere migliora.

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