Un italiano al «Noma» nel tempio della cucina top Canella porta il ragù

A Copenaghen parla anche italiano la cucina del ristorante Noma, per quattro volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants, e riaperto, dopo un periodo sabbatico e attività in Messico, da Renè Redzepi per ottenere ben presto le due stelle Michelin e mantenersi con 40 tavoli e un centinaio di dipendenti tra gli indirizzi-cult della cucina nordica.

In una sorta di cittadella scandinava del gusto, tra i canali della capitale danese, un giovane italiano, padovano Doc, Riccardo Canella, classe 1985, dopo esser diventato in soli sei mesi sous chef di Redzepi e suo braccio destro nel ristorante di Tokyo, fa ora un lavoro da sogno per ogni cuoco: studia i piatti del futuro, e fa ricerca no limits tra ingredienti stagionali e ecosostenibili, che verranno serviti al Noma se superano la selezione - su 18 portate del menu mediamente ogni anno vengono scartate 1500 idee - di uno chef visionario che ha messo la natura selvaggia nel piatto, e non trascura di usare le formiche e le fermentazioni per dare l’acidità di un limone non sempre reperibile a quelle latitudini.

«Di testa, e di padella» è il motto di Canella, intervenuto a Lecce alla rassegna Foodexp sui luoghi e i cuochi che cambiano il mondo. «Sono giovane, ma ho messo piede in cucina a 17 anni - racconta il talento padovano - seguendo i consigli del maestro pasticcere Luigi Biasetto e lavorando con Massimiliano Alajmo. Ho imparato tanto da loro, e ho imparato a tenere in mano la padella convinto che non ci sia altezza senza base. Sono della vecchia scuola della gavetta, Al Noma ci sono arrivato per caso e mi ha subito colpito l’energia e il fatto che se vuoi prenderti delle responsabilità puoi prendertele, e fare tue proposte per innovare. Quando sono arrivato su tutto il menu degustazione solo due, tre portate erano calde, come avveniva a El Bulli di Ferran Adrià. Io ho fatto invece il ragù, non proprio scontato, è di cozza gigante. Per me è ancora molto importante la padella, le tecniche di cottura, per continuare a fare avanguardia. Se ne può fare ancora tanta in cucina» sottolinea il cuoco che sogna di tornare in Italia per aprire nel 2020 un suo ristorante.

«Per me la cucina migliore del mondo - continua Canella - è quella italiana, anche se quella nordica è ormai diventata un classico: dieci anni il cibo era esteticamente bello ma talvolta non buonissimo; ora ha raggiunto il suo equilibrio. Tuttavia, - osserva - a livello lavorativo non mi manca niente. Ci vengono pagate persino le sedute di psicoterapia e di meditazione, e io ci vado dallo psicologo per tenere il ritmo e mantenere l’energia con la quale, in pieno stile Noma, usiamo omaggiare il cliente al suo arrivo».

«La strada futura, la vera avanguardia - secondo Canella - è prendersi cura delle persone che fanno questo lavoro. Dopo aver spezzato tante vite - confessa - per arrivare dove sono arrivato, nei miei sogni non voglio creare il miglior ristorante del mondo; voglio creare il miglior posto di lavoro al mondo, dove non permetterò di lavorare più di 50 ore la settimana. Per più di un secolo ha funzionato il modello Escoffier che ha trasferito lo schema militare nelle brigate di cucina. Ora l’era del bullismo è finita, bisogna creare realtà che durano nel tempo. Quando sono arrivato 17 anni fa nessuno ti dava una mano e le offese non finivano più. Non è più accettabile non essere pagati per il lavoro. È arrivato il momento di cambiare».

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