Andrew Basso, da Borgo alla conquista del mondo

di Matteo Lunelli

Escape, ovvero scappare, fuggire. Ma la codardia non c’entra nulla, anzi. Qui si parla di coraggio da vendere, di doti atletiche, fisiche e mentali, e ovviamente di un pizzico di magia e di suggestione, che rende il tutto più affascinante. L’escapologia, che deriva appunto dal termine inglese, è la capacità di un prestigiatore di sapersi liberare da costrizioni fisiche e ambientali. E a livello mondiale il re di questa arte è il trentino Andrew Basso Non per nulla considerato l’erede del grande Houdini. Da Borgo Valsugana a essere riconosciuto come il migliore al mondo nelle fughe. Fuga, sì. Perché quando si è rinchiusi in una vasca piena d’acqua senza poter respirare la differenza tra vivere e morire la fa il riuscire a fuggire. Anche se si hanno le caviglie legate. Anche se si hanno le manette ai polsi. Anche se si è stretti in una camicia di forza. L’importante è fuggire, trattenendo il fiato e facendolo trattenere a tutto il pubblico, che con gli occhi sbarrati e il cuore a mille segue la performance.  

La storia di Andrea Basso (Andrew lo diventerà solo anni dopo) è di quelle da romanzo: cresciuto in un paese del piccolo trentino, fin da bambino dimostra scarso interesse per il pallone e tanto per il palcoscenico, per l’intrattenimento.
Poi, studiando e lottando, si dedica a quella che è la passione di ogni bimbo: la magia. Anzi, non di ogni bimbo ma di ogni persona: perché, inutile negarlo, si tratta di una delle arti più affascinanti e misteriose per chiunque, a ogni età. Ci sono i grandi maghi, i film, i personaggi, la curiosità di capire come faccia a fare quella cosa proprio davanti ai nostri occhi e quell’incertezza che ci resta sempre: vabbè, tanto so che c’è un trucco. Oppure no? In questo «oppure no» c’è, scusate il gioco di parole, la magia della magia.  

Ma torniamo al «nostro» Andrea. Prima di tutto con un paio di aneddoti, giusto per spiegare il fatto che possiamo considerarlo il trentino più famoso al mondo. Esageriamo? Beh, prima di tutto si è esibito praticamente in ogni angolo del globo: Australia, America, Nuova Zelanda, Brasile, Venezuela, Dubai, Russia. E mica in posticini: Opera House di Sydney, Hammersmith Apollo di Londra, Arena di Verona. E mica davanti a quattro gatti: a Città del Messico, a esempio, ha realizzato 18 repliche dello show in due settimane in un teatro da 9.000 posti, sempre sold out: totale oltre 150 mila persone che l’hanno applaudito. Poi non si contano le apparizioni tv, le interviste a quotidiani e magazine mondiali, le visualizzazioni sui social dei suoi numeri.  

Nonostante questo «ruolo» da rockstar, famoso e apprezzato (a proposito, quanti trentini hanno ricevuto i complimenti dopo uno show da Woody Allen?), quando lo sentiamo al telefono percepiamo subito che si tratta di un ragazzo di straordinaria umiltà: disponibile, educato, alla mano.


«Mi dispiace non poter fare l’intervista di persona, in Trentino, ma non tornerò prima dell’estate. In questo momento sono al Castello di Vilnius, in Lituania, ho uno show qui».

Sempre con la valigia in mano?
Eh sì, dieci mesi all’anno li passo in giro per il mondo. Adesso sto facendo un tour europeo: tra fine marzo e aprile ho l’Est, con Polonia e Slovenia, poi Danimarca, Svizzera, Svezia e avanti fino a giugno con la Germania.

Classe 1988, ormai da anni Andrea gira il mondo per lavoro. Il punto di riferimento o meglio di partenza è New York: da cinque anni la base è lì, ma c’è subito una precisazione da fare.  «La casa, la vera casa, resta a Borgo Valsugana: lì ci sono mamma e papà, la famiglia e gli amici». 

E quindi la vacanza la si fa in Trentino?
Certo: per me vacanza non è certo salire su un aereo e andare, quello lo faccio per lavoro tutto l’anno. La vacanza è la ricerca di qualcosa che non ho durante l’anno. E in Valsugana mi godo la cucina, i sapori, gli odori della mia terra.
Come si vive a New York?
Di corsa: è tutto veloce, una ruota che non si ferma mai. Una cena con amici, dove si sta seduti per tre ore mangiando, parlando e scherzando, in America non esiste. E questo mi manca molto.
Però l’America la sognano un po’ tutti.
E anche io, infatti. Attraverso i film si ha un’immagine, bella e affascinante, e poi vivendoci ci si rende conto che tutto deve essere veloce e produttivo, efficace e comodo. Ma certi valori umani che ha casa mia lì non riesco a trovarli. Andare a prendersi un caffè con un amico a New York significa trascorrere un quarto d’ora e poi correre a fare qualcosa.
Con chi vivi nella Big Apple?
Con Amanda, la mia fidanzata. Lei ha trent’anni, è una ballerina di danza classica e contemporanea.
Conosciuta, quindi, sul palcoscenico?
Esatto: durante una pausa dalla sua attività per via di un infortunio ha partecipato al tour di «The Illusionist», sempre come ballerina ma in uno spettacolo di magia che non richiedeva performance di danza particolari. Così ci siamo conosciuti e, a dire il vero un po’ inaspettatamente, stiamo insieme da tre anni e mezzo. Tra l’altro ha origini italiane.
E quindi con lei il caffè a New York non dura quindici minuti.
In realtà è una vera americana: durante una cena con amici italiani, iniziata tipo alle 19, alle 23 eravamo ancora seduti a mangiare e parlare e lei mi chiedeva stupita «Ma quanto stiamo ancora qui? Siamo al tavolo da ore»...
Dal presente al passato, in realtà recente visto che sei molto giovane: come inizia la passione per la magia?
Inizia intorno ai 7 anni, guardando Fiorello in televisione: lui era l’idolo, l’intrattenitore, faceva ridere la gente. Insomma, un vero showman che mi affascinava perché sapeva trasformare l’ordinarietà in qualcosa di speciale.
E al piccolo Andrea piaceva l’idea di avere gli occhi del pubblico addosso.
Volevo intrattenere e stupire. E qui entrano nel racconto i miei genitori.
Perché? Loro spingevano o tiravano indietro?
Allora: mamma Clara, una bellissima donna di Scurelle, è un po’ sul genere Morticia Addams, ovvero vestita di nero, con rossetto, carnagione chiara e, soprattutto, una donna molto seria. Papà Armando, veneto di origini, è catalogabile più nella categoria timidi che leader o trascinatori. E allora io volevo muovere l’aria in casa. Ero affascinato dalla magia, non sognavo di diventare pompiere o calciatore come tutti i bambini. Quando arrivava a Borgo il circo vedevo questi striscioni giganti, l’aria piena di zucchero filato e pop corn, gli artisti con gli abiti di scena: un mondo magico.
Ma c’è stato un episodio che ha segnato la svolta?
Il primo è stato alla fiera del tempo libero di Bolzano: ero lì con la mamma e c’era un mago che faceva piccoli spettacoli, con tre palline e tre bicchieri. Ha fatto un gioco di prestigio a mia mamma, che è rimasta di sasso, con una luce di stupore negli occhi. Ecco, quella luce l’ho registrata e mi sono detto che se quel signore era in grado di generare un momento così e di stupire mia mamma dovevo farcela anche io.
Dalla fiera del tempo libero a Broadway e all’Opera House, però, ne è passata di acqua sotto i ponti.
Certo. Ci sono stati i libri che prendevo alla biblioteca di Borgo e la scatola di Silvan che mi ha comprato papà quando avevo dieci anni. E poi, alle superiori, la mia compagna di classe Anna che mi disse «Sai che fanno un corso di magia a Trento?». Convinsi mio papà a portarmi alla presentazione: Sergio, il maestro di magia, spiegò di cosa si trattava e poi per alzata di mano si scelse il giorno. Il venerdì. Ovvero l’unico per me impossibile: mio papà, che macinava chilometri e chilometri ogni settimana, di venerdì proprio non poteva portami. Il viaggio di ritorno Trento-Borgo fu tra le lacrime.
Il sogno di un ragazzino che svaniva. Sentiamo che c’è un però.
Il però arrivò un mese dopo: Sergio mi chiamò e mi disse che aveva colto quanto ci tenessi e che avrebbe fatto un corso solo per me, il lunedì.
E papà cosa disse?
Papà per quattro anni mi portò a Trento tutti i lunedì sera, aspettandomi per tre ore in macchina e poi svegliandosi alle 5 la mattina successiva.
Quei sacrifici sono stati ripagati: adesso quel ragazzino fa alzare in piedi ad applaudire migliaia e migliaia di persone.
Oggi sì, ma il percorso è stato lungo. Dopo il corso iniziai a esibirmi: prima al compleanno di un amico, poi alla festa dello zio dell’amico, poi nell’azienda di un conoscente. Mi chiamavano sempre più spesso: prima solo a Borgo, poi anche a Levico, poi a Trento, addirittura a Bolzano. La seconda volta arrivò di nuovo grazie a Sergio: mi disse che l’avevano chiamato in tv per fare «Il Ribaltone» ma che lui a 50 anni non voleva fare queste cose. E indicò però un ragazzino di 16 anni, che era sfrontato, voglioso e intraprendente. Andai. E la prima serata credevo di essere agli Oscar, era tutto fantastico. Arrivai in finale e SuperMario, che conduceva, a un certo punto mi chiese se avevo programmi per il futuro.
E tu non potevi certo dire che avevi «solo» la cresima della cugina di un tuo compagno di classe.
Esatto: infatti dissi che l’anno dopo avrei fatto un numero che solo Harry Houdini faceva, ovvero liberarmi da una cassa piena di acqua.
L’hai sparata grossa.
Effettivamente sì. Anche perché poi mi chiese dove e io d’istinto dissi «Al lago di Caldonazzo». Il giorno dopo mi chiamarono alcuni giornalisti e non potevo dire che avevo detto quelle frasi così, solo per farmi un po’ di pubblicità.
Anche perché non avevi mai fatto nulla di escapologia.
Mai. Mai fatta apnea, mai fatto nulla di questo e avevo pure paura dell’acqua. Però avevo circa sei mesi di tempo e a quel punto decisi di provarci. Chiesi subito aiuto a un docente di Borgo che era soccorritore e istruttore di apnea.
E lui cosa ti disse?
Mi chiese se volevo calarmi nel lago in una cassa sigillata di notte. Risposi di sì. E mi disse se ero matto. Però mi aiutò: furono sei mesi di allenamenti, paura, notti insonni. E domande: «Ce la farò o morirò?».
Poi arrivò il 31 luglio 2003, spiaggia delle Barche.
Tremila persone, giornalisti, una gru e un diciassettenne un po’ fuori di testa. Mia madre era più bianca del solito e non venne, andò in chiesa a pregare. Mio papà era presente, ma non disse una parola. E più altre persone mi dicevano di lasciar perdere più mi caricavo. Ero migliorato nell’apnea e dal punto di vista mentale avevo la sfrontatezza di sentirmi un supereroe.

Tutto è andato bene e da quel momento è iniziata la tua carriera. Esatto, e anche la fortuna è stata dalla mia parte, perché con il senno di poi e l’esperienza che ho oggi posso dire che qualche accorgimento in più avrei dovuto prenderlo. Ho incorniciato i ritagli del giornale di allora: «Andrea, il novello Houdini» era il titolo.
Da magia e illusionismo all’escapologia: al netto di trucchi e accorgimenti il rischio c’è.
Sì, c’è quel proibito e pericoloso che diventa adrenalina. Io non bevo, non ho mai usato droghe, la mia trasgressione è tutta nell’arte della magia.
Hai mai temuto per la tua vita?
Sì, nel 2012, a Sydney. Spettacolo all’Opera House, migliaia di persone, in prima fila importanti manager e produttori. Ero concentrato, tutto pareva a posto, ma quando mi hanno calato e ho sentito i lucchetti che si chiudevano ho pensato per mezzo secondo a dove ero, chi c’era e all’importanza di quel numero.
Risultato?
Il cuore da 40 battiti è salito a 70, 80, 90. Ho perso lucidità, ero nel panico e facevo una serie di movimenti senza alcun senso. In quelle condizioni invece di riuscire a trattenere il fiato per 6 o 7 minuti dopo pochi secondi ero senza ossigeno.
E grazie a chi sei qui a raccontarlo?
Grazie agli assistenti: hanno visto che qualcosa non andava, che i movimenti erano sbagliati, che stavo perdendo tempo. Così sono corsi sul palco e mi hanno liberato: ma non è così immediato, i lucchetti esterni da aprire sono tanti, non bastano pochi secondi. Ma per fortuna hanno fatto in tempo.
Nonostante la paura non hai mollato, dedicandoti alle carte o al coniglio che esce dal cappello.
Mezz’ora dopo ero di nuovo nella vasca per rifare il numero: mi hanno insegnato che questi traumi vanno superati nell’immediato altrimenti corpo e mente memorizzano tutto. Il pubblico era stupito nel vedermi tornare e quando il numero è riuscito l’urlo è stato clamoroso.
Altre serate da ricordare?
Tantissime: l’Arena di Verona, perché l’Arena è l’Arena e perché da trentino giocavo un po’ in casa. Poi i 18 sold out consecutivi a Città del Messico nel Teatro Nazionale da 9 mila posti. E New York, e Roma, con Francesco Totti in prima fila per due serate. E ancora la tv, con la partecipazione nel 2013 alla serata finale di Amici di Maria De Filippi.
Un complimento indimenticabile?
Forse quello di Woody Allen, che è voluto venire in camerino a congratularsi: lui è appassionato di magia e spesso ci sono scene nei suoi film che parlano del mio mondo. Mi ha detto che è stato lo show più bello al quale abbia assistito e che per due minuti è rimasto letteralmente paralizzato. Ma poi tanti altri, da David Copperfield a Phil Collins.
Pubblico, camerini, show, manager: il mondo dello spettacolo fa spesso rima con donne, droga, vita mondana, eccessi. Tu sembri, invece, un ragazzo come tantissimi.
Mi sono chiesto perché non sia mai stato coinvolto o abbia incrociato quel mondo fatto di festini e party e credo che la risposta sia nella mia integrità: non mi hanno mai avvicinato perché sanno che con me non troverebbero spazio. Questa arte, fatta anche di mistero e segreti, credo mi abbia protetto.
Domanda marzulliana, che non poteva mancare: ma stiamo parlando con Andrea o con Andrew?
Solo sul palco sono Andrew Basso, quando scendo so sempre chi sono e da dove vengo: sono Andrea, un ragazzo di Borgo Valsugana, legatissimo a mamma e papà e agli amici e parenti trentini, che non mi hanno mai trattato come una star o un artista. Loro mi hanno permesso di non perdere mai la bussola, di essere sempre nella vita reale, appena spente le luci, tolto il trucco e uscito il pubblico.
Perché Andrew?
Ricordi «Il mio amico Ultraman»? Il quattordicenne protagonista dotato di poteri speciali era Andrew. Fino a 17 anni, alle feste, ero Magic Andrew, poi su consiglio di un amico ho tenuto il nome «internazionale» ma con il cognome che mi ricorda sempre le mie radici. A proposito di radici e di famiglia, posso svelarvi un segreto?
Come no, ci mancherebbe. Ma non è un trucco di scena?
No, no, quelli non li dico. Stiamo programmando un tour italiano per novembre e dicembre: si tratta di uno spettacolo solo mio, one man show. Date e città le stiamo definendo ma il mio sogno è di fare la data zero, l’apertura, a Trento. Spero di poter dare l’annuncio ufficiale a breve, perché tornare nel mio Trentino sarebbe il massimo.

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