Non solo vini: per Myrtha Zierock la passione è l'orto

di Matteo Lunelli

Ventisette anni, quattro lingue parlate fluentemente, sette anni di studi, tirocini e lavoro in giro per il mondo, dalla Germania al Canada passando per gli Stati Uniti, e ora la voglia, l’ambizione e l’intraprendenza di partire con un progetto tutto suo. Lei, Myrtha Zierock, è figlia d’arte: la mamma, infatti, è la «regina» del teroldego, ovvero Elisabetta Foradori dell’omonima azienda. Quella, per intenderci, del famoso e delizioso Granato. Ma non è nel vino, o almeno non solo, il futuro di Myrtha. Alla domanda su quale sia la sua professione non indugia: «Orticoltrice. Ovvero coltivatrice di ortaggi». Ovviamente a modo suo. Ovviamente in maniera innovativa. 

Un lungo percorso di studi, sia accademici sia soprattutto pratici. Per arrivare, quest’anno, a partire con un nuovo progetto, personale ma anche aziendale.
Esatto: ho studiato a Friburgo, in Germania, Scienze Ambientali. E poi, durante l’università ma anche dopo, ho iniziato a mettere in pratica gli insegnamenti. Sono stata un anno in Oregon, negli Usa, e anche in Toscana a fare la woofer, ma la vera scintilla è scattata durante un corso sulla permacultura: lì ho capito che mi sarebbe interessato più sapere come cresce un pomodoro che non un grappolo d’uva.

L’orto che batte la vigna, ma non per la delusione della mamma, anzi. Ma proseguiamo.
Nel 2016 sono stata cinque settimane come tirocinante in una piccola azienda agricola in Canada, nel Quebec, da Jean-Martin Fortier: l’avevo incontrato la prima volta in Oregon durante una conferenza e le sue idee mi avevano affascinata. Poi sono stata lì altri due anni a lavorare alla La Ferme des Quatre-Temps, sostanzialmente nel 2017 e 2018, con lui come mentore.

Le idee di Fortier, in sintesi?
Agricoltura sostenuta dalla comunità e la possibilità di aver un buon reddito e una buona vita senza coltivare ettari ed ettari di campi. Le “regole” sono contenute in un libro, “Coltivare bio con successo - il primo manuale di orticoltura bio-intensiva per piccole aziende”.

Quali sono le differenze con l’orticoltura classica?
Il modello prevede prima di tutto superfici ridotte: funziona con campi al massimo di 4 o 5 ettari, meglio uno o due. Poi meccanizzazione ridotta all’osso: un motocoltivatore e basta. Infine la semina di più ortaggi per metro quadro, risparmiando spazio e ottimizzando la produzione. Sulla base di questo e di molte altre “regole” ho studiato un business plan, calcolando le verdure più redditizie, i canali di vendita.

Scusa l’interruzione, solo una piccola provocazione. Pensando a Foradori si pensa alla biodinamica. Pensando agli studi che hai fatto si pensa a biologico e permacultura. Ci saremmo quindi aspettati discorsi sulla terra e il ciclo della luna: insomma, più spiritualità e meno soldi.
L’aspetto economico è fondamentale in ogni tipo di impresa: si possono avere idee bellissime, ma se non si riesce a sostenere i costi è tutto inutile.

Veniamo al concreto: all’interno dell’azienda, quindi, non ci saranno più solamente i vini.
Esatto: anche prima avevamo un piccolo orto, ma era una produzione diciamo interna. Da quest’anno, invece, avrò circa 900 metri quadrati qui a Mezzolombardo, in pezzo di campo nell’azienda e poi ricavando degli spazi tra le pergole. Applicherò gli insegnamenti di Jean-Martin Fortier e ho un piano pronto, dalla preparazione del campo alla semina, dal raccolto alla vendita. D’altra parte se bisogna campare con meno di un ettaro tutto deve essere pensato e programmato, dalla A alla Z.

Che verdure pianterai?
Tante insalate e poi tante verdure autunnali e invernali: in Quebec ho imparato grazie a una sorta di tunnel non riscaldato che si può raccogliere anche quando fuori ci sono dieci gradi sotto lo zero. Poi in estate la gente è in ferie, le scuole sono chiuse, i prezzi si abbassano, quindi punterò sui mesi da settembre in poi.

E la vendita? Come funzionerà?
Una forte innovazione che ho appreso in Canada e che sta nascendo anche in Italia e in Trentino è quella della CSA, ovvero community-supported agriculture, in italiano, agricoltura sostenuta dalla comunità. Ci sono principi di etica e sostenibilità, reciprocità ma anche economia. Ed è possibile comprare le ceste di verdura in abbonamento.

Come con i giornali? Ci si abbona e arrivano a casa?
Esatto, ma non quotidianamente. E rispetto ai giornali si possono scegliere le notizie, ovvero le verdure da mettere nella cesta, in anticipo. Poi organizzerò un piccolo mercato all’interno del nostro cortile, che sarà anche un modo per aprire ancora di più la Foradori al pubblico. E poi i ristoranti.

Ma perché non stare nel mondo del vino? Sarebbe stato più semplice, no?
In realtà, comunque, ci resto, considerato che per alcuni mesi avrò tempo per dedicarmi al vino. Infatti sono appena tornata dalla Francia, e non ero lì per le verdure. Certo, forse sarebbe stato più comodo e, grazie alle lingue, sarei stata utile nella parte commerciale, che è importantissima. Però poi ci sono le passioni, e inoltre crediamo che l’orto sia una chance in più per tutta l’azienda, perché la componente cibo mancava. E per il futuro ci saranno ulteriori novità.

Altri prodotti? O gli stessi ma diversi?
Allora: per l’orto probabilmente solo questo primo anno si svilupperà tutto a Mezzolombardo. Poi inizieremo a sfruttare il campo, con maso, che abbiamo preso recentemente alle pendici del Baldo, in zona Brentonico. Lì avremo 4/5 ettari a vigna, per aumentare la produzione di bianchi, poi un paio a orto e poi la stalla per le nostre mucche. Grazie a loro abbiamo in mente un progetto legato ai formaggi, con un piccolo caseificio.

Oltre a orto e vini, un giorno con gli stivali e l’altro con i tacchi per una degustazione all’estero, un ventisettenne in carriera cosa fa?
Piccole cose: amo stare all’aria aperta, andare in montagna. E poi cucinare, spesso faccio il pane e le torte e poi le porto qui in azienda.


I VINI FORADORI

Un’azienda che è tante cose insieme. Il Teroldego, of course. Ma anche e soprattutto il Granato, e poi la biodinamica, le anfore, il Campo Rotaliano, i Dolomitici. Ed è anche molti luoghi, da Mezzolombardo a Cognola, dall’Alsazia all’Alto Adige, dalla Germania alla Francia. E, ovviamente, è anche molte persone: Vittorio (nonno), Roberto (padre), Gabriella (madre) ed Elisabetta Foradori (nipote e figlia), ovvero le generazioni di vignaioli che da inizio 1900 hanno gestito e condotto l’azienda agricola. È Rudolf Steine, il teorico della biodinamica, ed è Rainer Zierock, il compianto e geniale professore che a ventunanni sposò Elisabetta. Oggi è anche Emilio Zierock, 30 anni, Theo Zierock, 28, e Myrtha Zierock, 27, che con ruoli diversi portano avanti l’azienda, o meglio le idee che fanno andare avanti l’azienda.  

La cantina Foradori è tutte queste cose, e ognuna meriterebbe un lungo approfondimento, perché in questo caso non si tratta solo e semplicemente di una bottiglia di vino.  

Lasciamo da parte per un secondo il romantico e il filosofico, e diamo i numeri, letteralmente, per capire di cosa stiamo parlando: 28 ettari di vigna (il 75% a Teroldego, il 15% a Manzoni Bianco, il 5% a Nosiola e il 5% a Pinot Grigio) per produrre in media 160.000 bottiglie ogni anno: 90.000 di Foradori, 20.000 di Granato, 20.000 di Fontanasanta Manzoni Bianco, 8.000 di Fontanasanta Nosiola, 8.000 di Fuoripista Pinot Grigio e 10.000 per ciascuno dei vigneti Sgarzon e Morei. Vini che arrivano in 35 Paesi in tutto il mondo.

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