Ecco il libro di favole che riabilita il cacciatore e spiega perché è giusto uccidere Bambi

«Abbiamo avuto un’idea, ed abbiamo capito subito che avevamo scritto il libro perfetto: il libro che non c’era, e quindi che mancava». Lo dice così, quasi con stupore, uno dei tre autori, Luca Gottardi. Insieme a Patrizia Filippi e Daniela Casagrande

di Gigi Zoppello

«Abbiamo avuto un’idea, ed abbiamo capito subito che avevamo scritto il libro perfetto: il libro che non c’era, e quindi che mancava». Lo dice così, quasi con stupore, uno dei tre autori, Luca Gottardi. Insieme a Patrizia Filippi e Daniela Casagrande.

Sono autori ed editori di «Il cacciatore in favola», un volumetto prodotto quasi «in casa» e che adesso sta sfondando il muro della notorietà internazionale. Tradotto in inglese e in tedesco, è ora richiesto ed esportato in 30 paesi del mondo. Mentre fra poco arriverà la versione in russo, aprendo un altro ricco mercato.

Non è un libro facilmente digeribile: si tratta di undici favole per bambini pensate per raccontare che cacciare gli animali è bello, ed anche giusto. Ed ha un grande successo proprio negli ambienti venatori. «Perché in qualche modo devo spiegare alla mia bambina che la mamma, oltre che una commercialista, è anche una donna a cui piace l’arte venatoria» spiega Patrizia Filippi. E nella stessa situazione ci sono tanti altri papà e mamme, chiamati a insegnare ai loro bambini il perché della loro passione per prendere a fucilate Bambi.

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«Quello di Bambi è un mito falsato, oggi la critica all’arte venatoria viene dall’ignoranza. Ma allora bisognerebbe discutere di Biancaneve perché è un cacciatore a portare alla strega un cuore di cervo per guarirla. O Cappuccetto Rosso, perché lei e la nonna vengono liberate da un cacciatore che taglia la pancia del lupo» continua Filippi.

L’idea, spiegano, è venuta a Filippi e Gottardi: «Ci siamo posti il problema nella comunicazione con i nostri bambini, poiché la realtà delle fiabe non rappresenta la realtà che sta intorno a noi oggi. Ci sono le favole dei fratelli Grimm - spiega Filippi - le quali introducevano dei temi che per i bambini non sono semplici: il tema della morte, del ciclo della vita, non è facile... e poi le fiabe contemporanee che non rappresentano la realtà che ci circonda, come ad esempio dove viviamo noi in Val di Cembra, dove non è difficile vedere volpi o caprioli  e la natura prende ancora il sopravvento, anche vicino a casa».

In famiglia tutti e tre gli autori hanno dei cacciatori: Luca Gottardi lo è. Filippi ha un padre cacciatore, e così l’illustratrice Daniela Casagranda: «Ci siamo trovati d’accordo, volevamo riprendere il filone dei Grimm scrivendo noi stessi un libro di favole che valorizzasse le nostre tradizioni locali, i nostri detti popolari, le storie. Inizialmente la raccolta di 11 favole era per i nostri bambini. Parlano di detti popolari come “L’an dela fam” o “La storia della Vacca Vittoria”».

Ad esempio: «parlano anche di un cacciatore pescatore che piange al posto del pesce, perché il pesce non grida e non si lamenta e così Lacrima (il pescatore), piange al posto loro perché li ama. Ma deve prenderli per mangiare. Arrivano quindi un papà e un bambino e quando il genitore viene interrogato spiega che il pesce lo pesca perché fa crescere, e fa bene al cervello anche di voi bambini, e viene dalle nostre acque cristalline del Trentino» ci racconta Filippi.

Per spiegare meglio questa dicotomia fra storie per bambini e uccisione degli animali: «C’è la storia di Batuffolo, che è un coniglietto che casca dal camion diretto all’allevamento in batteria. Vede per la prima volta un prato e incontra un lepre. Il lepre chiede: “Perché non scappi? Perché non ti metti a correre? Non lo sai che viene la volpe, o il cacciatore, e ti uccidono? Ma Batuffolo continua a brucare l’erba e dice: “Preferisco una giornata vissuta davvero, che una vita in allevamento”». Morale? Ci dice Filippi: «Che il cacciatore che va nel bosco e spara fa molto meno male che gli allevatori».

Non è che questa donna minuta ma forte sia nemica delle bestie. «Anzi, dai 13 ai 22 anni sono stata vegetariana per protesta contro mio padre cacciatore, dopo che lui mi ha fatto pelare un lepre. Però mangiavo pesce... Poi ho studiato il mondo asburgico e austriaco della caccia, le tradizioni, le regole, perché la caccia è un’arte, l’Uomo ha potuto evolversi attraverso questa disciplina e favorisce la selezione dei capi. Io ad esempio non mangio insaccati, ma carne tracciabile, pulita o selvatica. Per capirci - spiega Filippi - non mangio pollo né pesce allevato. La carne della selvaggina 1 o 2 volte all’anno, anche le interiora, in fin dei conti è biologica. Ma certo non approvo il bracconaggio. Approvo le regole di vita, disciplina e natura, valori che vogliamo trasmettere ai nostri figli».

Il libro, però, ha un’altra caratteristica: illustrato con semplici disegni a matita per essere familiare ai bambini, è stampato con un carattere «accessibile» per i disgrafici e dislessici: «Luca è una mente matematica, ma è un disgrafico e a scuola aveva avuto problemi. Poi invece si è laureato brillantemente in ingegneria. Quando è stata l’ora di stampare il libro abbiamo scelto il carattere Easyreading, che fra l’altro si può leggere anche in verticale, è comodo per le guide nei parchi e i momenti di animazione».
Il segreto? Secondo Filippi «Parlare ai bambini con semplicità. Noi vogliamo solo dire la verità e far conoscere il Trentino e la sua storia. Come nella fiaba de «L’An de la Fam»: se ne sta interessando il Muse perché non è un mito, ma un fatto vero. Era l’anno 1816 (fra l’altro, in questo 2016 è l’anniversario, un secolo fa). Una spaventosa eruzione di un vulcano nel Pacifico ricoprì l’emisfero nord di una nube di venere e quello fu un anno senza estate e quindi senza raccolto». Ma - spiega Filippi - fu un anno di grandi cambiamenti: Mary Shelley scrisse Frankenstein, gli europei cominciarono a mangiare le patate e fu inventata la bicicletta!

Storie di animali, ma per davvero: «La vaca Vittoria è questo: una storia per spiegare ai bambini che la vacca fa il latte solo per il suo vitellino, e invece il vitellino glielo portano via, e ce lo mangiamo. Mentre lei continua a fare il latte». Come a dire: chi è più crudele, il cacciatore, o l’industria alimentare?

«In fondo - dice Filippi - quello che volevamo era rompere gli stereotipi e tornare a raccontare le cose come stanno».

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