Il mondo salvato dai ragazzini?

A questo interrogativo ha provato a rispondere la filosofa Francesca Rigotti ospite di EDUCA grazie alla collaborazione con i progetto Utopia 500/ cercando una società più giusta della casa editrice Il Margine e della Provincia autonoma di Trento. Un excursus filosofico - da Socrate ad Agostino fino Hannah Arendt - ma anche un affondo critico sull'attualità per dire che sulle spalle delle nuove generazioni si pone un tremendo carico di responsabilità fin dalla tenera età.

Francesca Rigotti, docente dell'Università  della Svizzera italiana critica gli adulti di oggi che da un lato non si definiscono più come “figli di” ma come “padri e madri di”, dall'altro chiedono ai ragazzini di salvare il mondo. Cosa quest'ultima che non potrà accadere anche perché "noi li educheremo subito, fin da piccolissimi, al rispetto delle regole, della legalità e di ogni cosa, mentre contemporaneamente e perversamente provvederemo a infantilizzarli più possibile.”

E come esempio, Rigotti, affonda le mani nella cronaca: il caso Regeni.

“Certo un'infamia  svoltasi non a caso in uno stato non di diritto, l'Egitto, che nella classifica dell'Indice di Corruzione sta all'88° posto. Spero anch'io come tutti che sia fatta chiarezza e mi associo alla condanna, qualche esitazione ce l'ho invece nel chiedere l'embargo turistico verso l'Egitto perché non credo nell'equazione che dice "il comportamento del governo di un paese corrisponde a quello dei suoi abitanti' rendendo responsabili del delitto tutti gli egiziani. Non lo credo perché non mi sono mai sentita corresponsabile ieri delle prese di posizione di Berlusconi né oggi di quelle di Renzi” ha  affermato Rigotti che si è poi soffermata sul ruolo primario dato ai genitori e in particolare alla madre. “... Come se Regeni non fosse stato un uomo di 28 anni, uno studente, un dottorando che aveva cercato un ruolo all'estero. La madre di Regeni è una mater dolorosa come tutte quelle disgraziate che perdono un figlio, ancor più se in maniera violenta, perché ammazzato dalla polizia o dai servizi segreti oppure perché inchiodato a una croce”.

Per analizzare la relazione tra figli e genitori la filosofa porta avanti una sottile riflessione sull'interpretazione del concetto di inizio, fondamentale nel pensiero filosofico. “La centralità del figlio nei nostri tempi bizzarri, sta nel fatto che le nostre società non si nobilitano più nell'ascendenza bensì nella discendenza e si realizzano non grazie agli antenati ma grazie ai figli. Da alcuni decenni a questa parte però si sta verificando un fenomeno per cui la luce dei riflettori si è spostata dalla morte alla nascita”.

Rigotti cita, tra gli altri, Hannah Arendt: “...e proprio in quanto è un inizio, l'uomo può dare inizio a cose nuove”, ma anche Sant'Agostino, Socrate e Parmenide per analizzare come la categoria filosofica della nascita occupi il baricentro del pensiero. E ancora, Agostino nel De civitate dei, scrive: «perché ci fosse un inizio fu creato l'uomo». Un ampio scenario filosofico che fa dire a Rigotti che le roi soleil non è più Luigi XIV ma il bambino, l'enfant soleil. E qui un distinguo.

“Non voglio associarmi al coro di coloro che lamentano, sul piano educativo, l'alleanza genitori-figli che ha sostituito quella genitori-insegnanti e che si rivela perniciosissima nei confronti degli scolari e degli studenti; non perché non lo condivida ma perché vorrei puntare l'occhio su un'altra conseguenza dello sguardo che si volge al nuovo e al figlio e si deposita sulla discendenza. Mi riferisco al fatto che per tutti i problemi di malaffare, per tutto ciò che riguarda l'inquinamento del pianeta e tutte le forme di prevenzione dei malanni del mondo, dalla mafia all'obesità, la soluzione proposta è una sola: educare le giovani generazioni. E così, invece delle regole della grammatica e dell'analisi logica si insegnano legalità e alimentazione biologica; invece delle tabelline e delle poesie a memoria (che orrore!), educazione stradale e rispetto delle regole del vivere civile” afferma Rigotti. che cita poi Dacia Maraini (anche lei ospite di Educa domani alle 15.30) la quale in un recente libro- intervista, riprendendo l'idea di Gesualdo Bufalino, afferma che nel cambiare la Sicilia «le maestre, anche delle prime scuole elementari... abbiano un ruolo determinante. Si dovrebbe insegnare ai bambini, fin da piccoli, che la prepotenza, l'odio e le minacce non sono accettabili in un paese democratico. Alla fine verrà spontaneo espellere la mafia come un corpo estraneo». Rigotti loda poi l'opera lodevole di Gherardo Colombo, (anche lui tra i protagonisti della giornata inaugurale di Educa) che va nelle scuole ad  insegnare il rispetto delle regole.

E dei genitori che dire? Rigotti afferma che gli adulti non si preoccupano più di dare l'esempio e di essere essi stessi modelli di comportamento da passare ai figli, ma si lasciano andare nel delegare quelle competenze alla scuola. “Visto i dati sulla corruzione mi chiedo se non sarebbe più produttivo che a osservare le regole della grammatica, della analisi logica, del codice della strada e del codice penale fossero gli adulti, gli insegnanti e i genitori, che poi le trasmetterebbero con l'esempio senza convocare legioni di esperti su puntualità, rispetto del codice della strada, pagamento dei debiti, legalità”.

Come educare quindi nella vita di ogni giorno alla maturità, tra libertà e regole?

Favorendo l'autonomia. “Nel Nord Europa alla conclusione del ciclo scolastico superiore, ragazzi e ragazze vanno a vivere per conto loro, sia che studino sia che lavorino, e se un giovane a  26 anni è ancora in casa ti mandano l'assistente sociale per capire che cosa c'è che non va” afferma la filosofa che da madre e da docente universitaria da sempre a contatto con giovani sui vent'anni, affronta il tema della centralità del bambino. “Se ne parla a proposito e a sproposito, perchè nell'esaltazione del figlio e persino nell'idea che il figlio (inteso come la nuova generazione) possa e debba salvare il mondo, lo si carica di responsabilità pesantissime. Come se ai figli, ai ragazzini, fosse affidato l'immane compito non soltanto di immaginare ma anche proprio di realizzare una nuova utopia” ha detto, ricordando che proprio in questo 2016, è il cinquecentenario della pubblicazione di Utopia di Thomas More.

“Vorremmo che i figli si emancipassero e insieme rimanessero presso di noi, si esalta il nuovo e il giovane anche in politica, come se essere giovani, o anche essere vecchi, fossero valori e non quello che sono, ossia normali stadi della vita. La giovinezza è bella, lo diceva mirabilmente Lorenzo il Magnifico, ma non è un merito. Nessuno ha meritato il fatto di essere giovane, che è una stagione data a tutti quelli che sopravvivono senza che nessuno abbia fatto assolutamente nulla per guadagnarsela”.

Infine mette in guardia dagli eccessi che consistono da una parte nel trasformare i bambini in super-eroi che salveranno il mondo, investendoli di carichi di responsabilità pesantissimi e ingiustificati, regolamentati da adulti prepotenti e ficcanaso. Devono poter giocare per conto loro. Eccessi che dall'altra trasformano l'attenzione verso i giovani, bambini, ragazzi, giovani adulti, in adorazione, che invece non va bene. E dall'adorazione all'infantilizzazione il passo è breve, e se ci ritroveremo in casa i famosi bamboccioni ciò non è dovuto a loro ma a noi che non abbiamo saputo responsabilizzarli nel salvare non il mondo – che quello dobbiamo farlo tutti insieme – ma loro stessi.

E dopo un'applaudita relazione è iniziato il dibattito moderato da Paolo Ghezzi. A partire dall'atteggiamento di genere nell'attività genitoriale: quello delle madri – ad esempio – è di proteggere dalle sofferenze. “Le sofferenze non vanno evitate” ha risposto la filosofa che ha citato il caso di quelle madri che si preoccupano persino che il figlio universitario abbia i libri necessari”. Dunque un esempio concreto che dimostra come dall'adorazione alla infantilizzazione il passo sia davvero breve. 

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