Se il lupo ritorna sulle Alpi L'intervista all'esperto Boitani

di Fabrizio Torchio

Le stime della consistenza numerica e della distribuzione confermano la crescita del lupo e uno status della popolazione in espansione «in primis a livello spaziale e di conseguenza a livello demografico». È quanto si legge nella relazione tecnica del Progetto Life Wolfalps del giugno 2017 Lo status della popolazione di lupo sulle Alpi Italiane 2014-2016 (con evoluzione dal 1996 al 2016 e aggiornamento 2016-2017 per le Alpi centro-orientali) . L’espansione riguarda anche il Trentino dove la Provincia ha annunciato un progetto organico di prevenzione dei danni. «I lavori per la realizzazione del progetto di prevenzione - è stato comunicato nei giorni scorsi - sono già partiti e produrranno un primo documento entro il prossimo mese di maggio (con ricadute concrete in termini di prevenzione su alcuni alpeggi prima dell’inizio della monticazione), mentre il documento finale sarà disponibile entro la fine dell’anno. Lo studio - viene spiegato - partirà da un censimento della vulnerabilità degli allevamenti agli attacchi da lupo ed individuerà una serie di misure di contenimento del danno i cui capisaldi sono costituiti, come noto, dalla custodia degli animali grazie alla presenza del pastore, dall’installazione di recinzioni elettrificate per la notte per alcune tipologie di bestiame e dalla presenza di cani da guardianìa specificatamente addestrati per difendere gli animali dal lupo».


Della gestione della specie ci si occupa da tempo sugli altri versanti delle Alpi, in Francia e in Svizzera in particolare. Nella confederazione elvetica, nel 2016 sono state rivedute le strategie sulla lince e sul lupo: «Si tratta in particolare di garantire la protezione della fauna selvatica e, al contempo, di tenere conto delle esigenze della popolazione», è stato spiegato dall’Ufficio federale dell’ambiente elvetico. «Interventi di regolazione devono essere effettuati soltanto qualora le misure di prevenzione dei danni siano già state tutte adottate. Le strategie servono innanzitutto ai Cantoni per l’attuazione delle prescrizioni legali. La modifica principale consiste in uno schema per la valutazione di comportamenti problematici di giovani lupi in branchi».


Sulla situazione alpina e sullo stato del Piano di gestione nazionale del lupo abbiamo posto alcune domande al professor Luigi Boitani , docente all’università La Sapienza di Roma e fra i maggiori esperti della specie.

Professor Boitani, oggi la presenza del Lupo in ambito provinciale è accertata in Lessinia, nei gruppi montuosi del Carega e del Pasubio, in destra Valsugana, alta Val di Non, alte valli di Fiemme e Fassa. È possibile, a suo giudizio, salvaguardare l’agricoltura di montagna, così come tradizionalmente esercitata nel Trentino (malghe, pascolo, ecc.) a fronte di una presenza della specie in rapida espansione?
«Non c’è dubbio che il ritorno del lupo richiede un aggiustamento dei metodi attualmente usati nell’agricoltura di montagna. D’altra parte, ben poco è rimasto delle tradizioni agricole montane se per tradizione si intende metodi, economie e stili di vita di 100 o anche solo 50 anni fa. Oggi si arriva in quota con strade e mezzi meccanici che solo 30 o 50 anni fa erano impensabili. I sussidi economici comunitari, statali e provinciali permettono la sopravvivenza di attività che altrimenti non avrebbero possibilità di resistere. La scelta di come far evolvere l’agricoltura montana è solo politica. Le tecniche per mitigare i conflitti con il lupo esistono da secoli ma servono a poco se vengono rifiutate a priori da chi non vuole trovare alcun compromesso».

A che punto è il Piano nazionale per la gestione del lupo? E cosa prevede per tutelare agricoltura e pastorizia?
«Il Piano nazionale per la gestione del lupo è stato bloccato in sede della Conferenza Stato Regioni dall’opposizione di pochissime amministrazioni. Poiché in Italia il Ministero centrale non ha il potere di imporre alle Regioni e Province autonome una politica unitaria, il Piano è in attesa di discussione nelle commissioni parlamentari competenti».


Sono stati segnalati, nelle settimane scorse, svariati avvistamenti di lupi nei centri abitati (Valsugana, Altopiano di Asiago) anche in pieno giorno e vicino alle case. Il lupo può costituire un pericolo per l’uomo?
«Molti fanno questa domanda, alla quale io rispondo con un’altra domanda: quante volte avete letto sui giornali di persone attaccate o uccise dai lupi negli ultimi 200 anni? Nel Parco d’Abruzzo, ad esempio, vivono circa 10 branchi di lupi e vi sono circa 2 milioni di visitatori che usano ogni angolo del parco, ogni possibile sentiero: nessuno è mai stato infastidito dal lupo. Quindi, lasciamo Cappuccetto Rosso nella sua favola e cerchiamo di crescere. Non è proprio una novità che il lupo si veda anche di giorno e vicino alle case: è sempre stato così, basta con i pregiudizi e le fesserie per cui il lupo vivrebbe in cima alle montagne per muoversi di notte e scendere a valle in inverno, queste sono sciocchezze. Gli attacchi si sono fermati verso l’inizio dell’800, quando l’uomo ha cominciato ad usare il fucile con maggiore frequenza. E ancora oggi, casi sporadici (2-3 negli ultimi 30 anni) di attacchi all’uomo sono avvenuti in Alaska, Canada e altrove ma, a guardare bene, le condizioni ecologiche erano totalmente diverse da quelle possibili in Italia, dove muoiono ogni anno 10-20 persone uccise dai cani».


È possibile quantificare l’attuale presenza della specie sulle Alpi?
«Il progetto WolfAlps ha fatto un lavoro fenomenale di coordinamento su tutto l’arco alpino e oggi tutte le amministrazioni alpine hanno accesso a quei dati. Da Cuneo alla Slovenia ci sono circa 150-200 lupi molti dei quali si muovono tra Italia e Paesi confinanti. Teniamo presente che per un lupo fare 50 kilometri è questione di 2-3 ore e spostamenti di centinaia di kilometri sono la normalità per un lupo giovane che lascia il branco alla ricerca di nuovi territori.


È possibile immagine le dinamiche di espansione della specie sulle Alpi?
«È una facile previsione: il lupo continuerà ad espandersi fino a ricolonizzare tutte le aree alpine e prealpine».


Per brevi cenni, che tipo di politica gestionale si applica negli altri Paesi alpini come Francia e Svizzera?
«In Francia il Ministero dell’Ambiente gestisce la questione su scala nazionale, esiste un Piano nazionale di gestione approvato anche con la consultazione di tutti i gruppi di interesse (allevatori, turisti, conservazionisti, cacciatori, ecc.). La Francia ha obiettivi numerici molto precisi che vengono gestiti attraverso l’azione delle province. L’abbattimento di pochi esemplari all’anno è ben pianificato e permette di intervenire nei casi dove è necessario: in ogni caso la popolazione è in netta crescita. In Svizzera, la situazione è analoga anche se il numero di lupi è ancora molto piccolo e in crescita».

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