Fradusta, il ghiacciaio sulle Pale è dimezzato

di Manuela Crepaz

Quanto resisterà il ghiacciaio della Fradusta? La domanda non è peregrina, visto che il secondo più grande nevaio delle Pale di San Martino (il più esteso è il Travignolo, anche se la vista può ingannare) non è indenne dall’aumento delle temperature che da anni, ormai, sta logorando la riserva fredda dell’intero arco dolomitico.

Il «mansueto ghiacciaio che dà comunque un tocco di alta montagna», come lo hanno definito Luciano Marisaldi e Bepi Pellegrinon in Pale di San Martino, si raggiunge agilmente attraversando il lunare e ondulato altipiano della Rosetta, oppure salendo dalla Val Canali o dalla valle di Gares nel versante bellunese.

È uno dei due ghiacciai costantemente monitorati dal Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino in collaborazione con il Comitato Glaciologico della Sat, assieme a quello, sempre più sottile, del Travignolo, prima porta d’accesso al Cimon della Pala nel 1870.

Ora quella via, battezzata «Whitwell» dal nome di quell’Edward Robson Whitwell che, privo di esperienza di arrampicate in Dolomiti, raggiunse per primo il Cimon della Pala (il compagno Francis Fox Tuckett rinunciò per uno strappo muscolare), non è più percorsa, predilegendo la via normale attraverso il «Bus del Gat», aperta da Ludwig Darmstadter nel 1889.

E chissà che impressione ne avrebbero i due alpinisti inglesi che descrivevano il Travignolo come un ghiacciaio che «arrivava a considerevole altezza sul lato nordest della nostra vetta» nel vedere l’odierno canalone ridotto ad una lingua pronta ad essere risucchiata dall’avanzare della copertura detritica.

Ora, dai rilevamenti degli esperti del Parco, Gino Taufer e Carlo Turra, il Travignolo, nonostante lo scorso settembre le misure frontali dessero un «avanzamento della fronte» (cosa non realistica ma dovuta solo a crolli di detrito che hanno scoperto vecchio ghiaccio sepolto), l’apparato mostra tutti gli inconfondibili segni di contrazione della massa ghiacciata della Fradusta: crolli, scivolamento, collasso di porzioni isolate, apertura di nuovi crepacci con scorrimento di acqua di fusione alla base che accelera sia l’ablazione sia lo scorrimento.

Lo stesso discorso si può fare su quel balcone panoramico che è la Fradusta, benché non siano presenti crepacci intermedi, ma comunque la terminale contro la falesia si allarga a vista d’occhio.

I risultati complessivi relativi allo scorso settembre certificano una enorme riduzione della massa glaciale, molto marcata rispetto agli anni precedenti. La superficie glaciale permane in tre pezzi. Precisamente, la parte alta, che è l’unica veramente attiva dal punto di vista glaciologico, ha ridotto una porzione bassa ad isola a sè stante, in corrispondenza del cambio di pendenza.

Le superfici planimetriche riportano che la parte bassa misura 0,605 ettari, rispetto a 1,80 del 2015; la parte nuova intermedia ha una superficie di 0,36 ettari (0,57 nel 2015) e la parte alta si attesta a 2,85 ettari contro i 3,01 di due anni fa.

Tirando le somme, la superficie nel 2016 è di 3,21 ettari, rispetto ai 5,38 nel 2015. Il calo è ancora più evidente se si comparano i dati con il 2014, quando era di 7,14 ettari, con il fenomeno della «big snow» che aveva caratterizzato l’inverno. Togliendo l’annata particolarmente nevosa, nel 2013 era di 6,79 e di 5,52 l’anno prima. In questi giorni, Taufer e Turra continuano le misurazioni, rilevando gli accumuli di neve sulla parte alta, prevalentemente di apporto eolico. Non sono indice di benefiche nevicate, ma riescono comunque a mantenere il ghiaccio, preservandolo dalla fusione, come una coperta protettiva che lo isola dalla radiazione solare.

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