Tassa sulla plastica, c'è chi dice no In Trentino Idropejo è in allarme «Ci costerebbe 1,2 milioni l'anno»

di Matteo Lunelli

Il dibattito sulla cosiddetta Plastic Tax è sempre più acceso. Anche in Trentino, dove c’è grande preoccupazione sia nel mondo imprenditoriale sia tra i consumatori. Ma prima di tutto vediamo i numeri. Magari freddi, ma oggettivi e che possono aiutare a fare una fotografia della situazione.

In provincia nel 2018 sono state raccolte 23mila tonnellate di multimateriale (i classici imballaggi, anche se ne esistono varietà differenti a seconda dei territori) e poco meno di 4.000 tonnellate delle cosiddette plastiche dure. Si calcola che ogni abitante produca circa 40 chili all’anno di multimateriale all’anno, grazie ai dati forniti dall’Osservatorio provinciale sui rifiuti.

Le aziende che trattano la plastica, in vario modo, sono circa 25 sul territorio provinciale: ci sono quelle che ne producono, altre che la “sfruttano”, altre che la lavorano, per un totale di un migliaio di dipendenti e ci poco meno di 400 milioni di euro di fatturato. Nonostante la plastic tax, nell’immediato, dovrebbe colpire direttamente i consumatori più degli imprenditori, è ovvio che nel medio periodo a risentirne saranno proprio queste aziende, che potrebbero veder crollare i propri fatturati e dover rimettere mano agli organici.


«Il sentimento con cui seguiamo la vicenda in evoluzione dalla tassa sulla plastica è di grande preoccupazione. Siamo un’azienda in crescita, il fatturato sale, abbiamo appena assunto quattro dipendenti, abbiamo una serie di campagne all’insegna della sensibilizzazione ambientale, ma la plastic tax potrebbe pesare per 1,2 milioni di euro sui nostri conti. Tradotto, ci annienterebbe. Anche perché sarebbe difficile spiegare ai clienti un aumento improvviso del 15% dei prezzi». A parlare è l’amministratore delegato di Idropejo Samuele Pontisso.

Sì, esattamente colui che porta nelle nostre case e nei nostri uffici (in Trentino, ma l’azienda copre tutto il centro e nord Italia) le bottiglie di acqua Pejo. Stiamo parlando di circa 90 milioni di bottiglie d’acqua, nei vari formati, di cui circa 55 milioni in plastica Pet e le rimanenti in vetro.

«Siamo veramente in allarme - prosegue - perché la data ipotizzata dell’1 aprile è vicinissima e ad oggi non si sa nulla. Come facciamo a fare un listino prezzi e a firmare contratti? Dicono che la questione è ecologica, e noi da questo punto di vista siamo estremamente attenti. Ma quando leggo l’analisi sulla legge della ragioneria dello Stato e vedo che il gettito della tassa, e qui cito, sarà costante negli anni, significa che non ci sarà alcun vantaggio ecologico, perché si prevede di incassare costantemente la stessa cifra, quindi non si prevede una riduzione della plastica. A rimetterci nel medio e lungo periodo saranno le aziende che vedranno crollare i fatturati e dovranno ridurre gli organici».

Altro che quattro assunzioni. Ma un altro aspetto emerge dalle parole di Pontisso: Pejo è attenta alla tematica ambientale. A dimostrarlo concretamente è anche la recente iniziativa, insieme a Trentino Volley e Aquila Basket, di installare al PalaTrento un compattatore del Pet che appunto comprime le bottiglie: riduce l’ingombro della plastica fino al 90% del volume abbassando drasticamente i costi di stoccaggio, di trasporto e della filiera del ciclo di recupero e riutilizzo del materiale che può essere conferito direttamente alle industrie di trasformazione con notevole risparmio di tempo e denaro.

«Pare che la plastica sia diventata improvvisamente il diavolo. Ma si tratta di un attacco ingiustificato, anche da un punto di vista scientifico. Si tratta di un materiale completamente riciclabile, tanto quanto il “beatificato” alluminio. Anzi, volendo, con costi e consumi per la riconversione molto minori, visto che il Pet ha un punto di fusione a 260 gradi e l’alluminio a 660. Potremmo prendere esempio dalla Germania, che mette la cauzione sia sul vetro sia sulla plastica. Ed esistono le macchinette nelle quali si inserisce la plastica e vengono restituiti soldi».

Ma il crescente sentimento ambientalista si vede anche nelle vendite? Pontisso risponde affermativamente, ma l’analisi è più complessa. «Si nota una crescita del vetro, ma solo in parte è motivata dalla sensibilità ambientale. Sul Pet non ci sono state variazioni. Pensiamo che, ad esempio, in molti rifugi di montagna ci sono le campagne plastic free: a loro oggi vendiamo vetro, ma bisognerebbe riflettere sul fatto che sia effettivamente più comodo da trasportare e più facile da smaltire. Oggi il miglior contenitore di liquidi, per l’ambiente, per la praticità, per i costi e per lo smaltimento, resta il Pet».

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