Scontro totale con Roma sull'Autobrennero

di Domenico Sartori

Le parti si sono invertite, ora. L’affaire della nuova concessione di A22 si complica ulteriormente, salvo ravvedimenti (politici, prima che tecnici) che non si vedono all’orizzonte, regnante il ministro Danilo Toninelli. E i toni si fanno minacciosi.

Prima di Natale, erano i sedici soci pubblici (capofila la Regione Trentino Alto Adige) riuniti in assemblea a ventilare il ricorso alla gara, piuttosto che subire un accordo di cooperazione interistituzionale mortificante: investimenti irrealizzabili e governance nei fatti in mano allo Stato non azionista. Meglio la gara di una «nazionalizzazione» mascherata. Tant’è che il governatore trentino Maurizio Fugatti, facendo in punto in Consiglio provinciale sulla trattativa con il Governo, il 27 dicembre, ribadiva: «Andare a gara? Lo valuteremo nel momento in cui i nostri legittimi diritti non saranno rispettati».

Fatto è che ieri l’altro, nella riunione «tecnica» al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) a «minacciare» la gara sono stati invece i rappresentanti del Governo. Il Cipe deve mettere in delibera, dopo il contraddittorio con i soci pubblici territoriali di Autobrennero (rappresentati da Regione e Province di Trento e Bolzano).

Al Cipe sono state presentate quattro ipotesi di Pef-Piano economico finanziaro, come richiesto dal Governo: due, calibrate su 4,14 e 3,34 miliardi di investimento in capo ad Autobrennero; due, per gli stessi importi, su BrennerCorridor, la costituenda scatola societaria tra i sedici soci pubblici per subentrare nella gestione in house di A22. In tutti i casi il Pef è insostenibile, non bancabile, l’equilibrio economico-finanziario della società non assicurato. Soprattutto per BrennerCorridor che, per l’avvio, dovrebbe possedere (se il riferimento è al tentativo di messa a gara del 2011) almeno 300 milioni di euro. Bella questione, perché c’è da chiedersi dove li troverebbero i soci «minori» della spa Autobrennero Comuni e Camere di commercio.
Ma il nodo, adesso, sono i ricorsi. Il capo di gabinetto di Toninelli, l’avvocato Gino Scaccia, è stato esplicito: se non accettate il Pef, qualcun altro interessato ad entrare nel mercato delle concessioni e che lo riterrà bancabile, lo si troverà. Toni ultimativi: se non ritirate i ricorsi e liquidate i soci privati (14,1575% del capitale) di Autobrennero, e se non lo fate presto, la concessione sarà messa a gara. Altro che in house di cui si tratta dal 2014!

Insomma, i funzionari dirigenti del Mit-Ministero delle infrastrutture e trasporti e del Mef-Ministero della economia e delle finanze, hanno fatto intendere che il vento è cambiato. La sensazione è che i toni fuori misura, utilizzati per primo dal ministro Toninelli che parla di «mangiatoie» e «asfalto elettorale», siano solo la conseguenza dei ricorsi notificati da Autobrennero, a tutela del patrimonio aziendale, e da due dei soci pubblici, la Provincia di Trento e la Provincia di Modena. Convitato di pietra, nella trattativa, è il «tesoro» di oltre 700 milioni che Autobrennero accantona dall’1 gennaio 1998 in forza del legge 449/1997. È il cosiddetto «Fondo Ferrovia»: lo Stato ha autorizzato Autobrennero ad accantonare «una quota anche prevalente dei proventi in un fondo destinato al rinnovo dell’infrastruttura ferroviaria attraverso il Brennero ed alla realizzazione delle rispette gallerie».

Di chi è questo «tesoro»? È patrimonio di Autobrennero spa, i cui bilanci, compresi i dividendi distribuiti ai soci, sono stati sempre certificati dal collegio sindacale, oggi presieduto da Giovanni Ciuffarella, del Mef, in cui siede anche Felice Morisco, in rappresentanza del Mit, intervenuto ieri l’altro alla riunione del Cipe. Tant’è che nella stessa bozza di accordo approvata dal Cipe con la delibera del 28 novembre scorso oggetto di ricorso al Tar del Lazio, c’è una clausola con cui i 16 soci pubblici si impegnano a far deliberare ad Autobrennero, se la concessione va in porto, la devoluzione del «tesoro» al bilancio dello Stato.

È sempre questo «tesoro» a spiegare il diverso atteggiamento di Bolzano (Regione, Provincia, Comune e Camera di commercio), più disponibili, nonostante il mandato chiaro degli altri soci, a chiudere la trattativa. Bolzano sarebbe la prima beneficiaria del Fondo ferrovia per finanziare la tratta di accesso verso il Brennero. Inoltre, si vedrebbe riconosciuta, con la terza corsia dinamica da Bolzano Nord (1,035 miliardi nel Pef) sotto il Virgolo, la nuova circonvallazione cittadina.

E quindi non è un caso che lo stesso Arno Kompatscher, che aveva trovato sponda nell’ex governatore trentino Ugo Rossi, insista per avere la sede legale di BrennerCorridor a Bolzano. Sembra di essere tornati nel 2001, quando sulle tratte di accesso il Landeshauptmann Luis Durnwalder trattata da solo con l’allora ministro Luigi Bersani sulle tratte di accesso all’Eurotunnel, costringendo i trentini Lorenzo Dellai (presidente della Provincia) e Silvano Grisenti (assessore) ad alzare la voce. Adesso tocca a Maurizio Fugatti farlo, mentre tratta per la nuova Giunta regionale con Kompatscher, provando a convincere i soci di Bolzano ad aggregarsi ai ricorsi notificati.

Quanto alla minaccia della gara da parte del Governo, la strada non sarebbe poi così piana: dovrebbe cancellare la legge (art. 13 bis, decreto 148/2017) che ha previsto la soluzione in house, rinunciare al «tesoro» di oltre 700 milioni e, nell’immediato, anche ai 580 milioni di valore della concessione previsti dall’intesa del 14 gennaio 2016.

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