Giorgio Tonini delinea i temi del programma «Dobbiamo guardare alla vita concreta delle persone»

di Luisa Maria Patruno

Giorgio Tonini, candidato presidente dell'Alleanza democratica e popolare per l'autonomia, si dice rammaricato per la scelta di Carlo Daldoss di ritirarsi dalla competizione elettorale, all'indomani della decisione della coalizione di non affidare a lui la leadership, soprattutto perché l'ex senatore del Pd era stato tra i primi a riconoscere e sottolineare il coraggio della scelta di Daldoss di portare i Civici al tavolo per unire le forze e dare vita a una aggregazione larga e capace di contrastare il centrodestra a trazione leghista. «Prima viene il Trentino - aveva detto Daldoss - poi noi e i simboli di partito» a sottolineare come la posta in gioco fosse alta e valesse uno sforzo da parte di tutti. Ma scelto Tonini, Daldoss è sparito.

Giorgio Tonini, lei ha ricevuto l'investitura con il compito di cercare di allargare la coalizione, ma già il giorno dopo Daldoss si sfila e LeU non aderisce. Invece di allargarvi vi restringete?
La decisone di Daldoss mi rammarica, perché abbiamo sperato tutti, in particolare l'Upt che più di tutti ha avuto contatti con lui, che le defezioni dei sindaci civici che c'erano state dopo la sua decisione di sedersi al tavolo dell'Alleanza rientrassero, invece hanno reso impossibile la sua discesa in campo.
Daldoss pensava che l'Alleanza puntasse su di lui o comunque su una persona di area civica popolare per la presidenza, così non è stato perché il Pd non l'ha sostenuto. Perché?
Capisco che il Pd sia sempre colpevole di tutto, quando c'è un problema. Ma non è andata esattamente così. C'è stata una lunga contrapposizione tra le due candidature di movimento, quella di Daldoss e quella di Ghezzi, entrambe necessarie per tenere larghi i confini della nostra alleanza, ma da due candidature ne doveva scaturire una. Putroppo la contrapposizione ha portato a una lunga situazione di stallo. Il Pd ha cercato una mediazione, che è stata trovata sul candidato meno lontano da entrambi, con il mandato che mi è stato dato di valorizzare tutte le componenti in maniera equilibrata. Sicuramente la mia non è stata una candidatura di orgoglio di partito, ma molto remissiva con mio consenso, perché il Pd al tavolo è stato al servizio della coalizione nella ricerca del punto massimo di convergenza fra tutti per non umiliare nessuno e tenere insieme tutto. 
Non pensa che ora l'Alleanza risulti troppo scoperta al centro? Come pensate di parlare a questo elettorato?
Questo sarà il nostro impegno nei prossimi giorni. La decisione presa sul mio nome, del resto, non è stata imposta ma è stata presa con la condivisione in particolare dell'Upt. Il Pd da solo non ne avrebbe avuto né la forza né la volontà. Ora sappiamo di avere un problema, ma cercheremo di affrontarlo nel modo migliore possibile con gli amici dell'Upt.
Invece con il Patt vede riavvicinamenti possibili?
Noi continueremo a stalkerare gli amici del Patt, pur rispettando le loro decisioni, almeno perché ci si possa incontrare.
Questa nuova Alleanza democratica e popolare per l'autonomia come intende caratterizzarsi come proposta politica e programmatica?
Noi dobbiamo cercare di fare una campagna il più aderente possibile ai contenuti e alla vita concreta delle persone. Non parlare di riforme astratte ma di questioni sociali ed economiche che interessano la vita di ogni giorno. E poi c'è il grande tema del futuro della nostra Autonomia. Dall'altra parte c'è infatti una coalizione che è una grande incognita per l'Autonomia perché c'è la Lega di Salvini che non è più quella federalista di Bossi ma è una Lega nazionalista. E il nazionalismo e l'autonomia sono due valori in conflitto tra loro. In più è in contraddizione con l'europeismo che noi abbiamo imparato da De Gasperi e che è con l'Autonomia una faccia della stessa medaglia. Quindi il nazionalismo è la tomba dell'Autonomia.
Il presidente uscente Rossi dice che voi avete rinnegato questi cinque anni di governo perché non lo avete confermato alla presidenza.
Non abbiamo rinnegato nulla. Alle spalle nostre ci sono anni di governo positivo per l'Autonomia, sono state fatte tante cose buone e importanti. Ma le elezioni si vincono non per quanto fatto in passato ma per ciò che si propone per il futuro. Churchill che fu mandato a casa dagli inglesi dopo aver vinto la seconda guerra mondiale sta lì come un monito. Noi dobbiamo parlare di futuro.
E voi per il futuro cosa proponete?
Il punto centrale sono le questioni sociali e dell'invecchiamento della popolazione, che è la più grande sfida che il Trentino ha davanti. Il nostro welfare è tra i migliori d'Europa ma dobbiamo affinare gli strumenti. Poi c'è il grande tema del lavoro con il disagio economico e la precarietà di ampie fasce e si deve innalzare il livello qualitativo delle nostre produzioni che si potrà fare solo se cresce la produttività e il contenuto tecnologico delle produzioni. L'altra grande frontiera è quella dei giovani, formati anche a livello universitario, che non trovano qui prospettive. Per fare questo va recuperato il gap con l'Alto Adige nell'industria, nel turismo e nell'agricoltura.

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