Faccia a faccia Ghezzi-Rossi Ma i due restano distanti

di Franco Gottardi

«A Sant’Ignazio di Loyola si dovrà parlare con una voce sola». Paolo Ghezzi, che da buon giornalista e musicofilo ama le rime e i giochi di parole, esprime così la sua premura. Riprendendo il «metodo Thai» e le allusioni alla grotta dei 12 calciatori intrappolati, segnala come «l’ossigeno stia finendo» e la gente non abbia più voglia di sopportare le schermaglie e i tira e molla della politica.

Entro il 31 luglio, data che celebra per l’appunto il fondatore della Compagnia di Gesù Sant’Ignazio di Loyola, il centrosinistra autonomista dovrà perciò fare la sua scelta. Decidere se fidarsi del nuovo, che lui da neofita della politica intende rappresentare, o dell’usato sicuro targato Ugo Rossi.

Intanto, nell’attesa di capire se il suo nome, proposto per ora dai cespugli di Sinistra e da una parte del Pd, riuscirà a fare breccia nell’Upt, che domani riunisce il parlamentino, e tra i democratici, che torneranno verosimilmente a confrontarsi dalla prossima settimana, dopo il rientro del segretario Giuliano Muzio dalle ferie, si apprende che i due, il Paolo sfidante e l’Ugo sfidato, si sono incontrati nei giorni scorsi per parlarsi a quattr’occhi.

È avvenuto martedì nell’ufficio di piazza Dante su invito inviato qualche giorno prima dal governatore quando l’ex direttore dell’Adige era ancora in ferie e indeciso se buttarsi nell’arena. I due si sono scambiati le opinioni sul momento e sul quadro politico per un’oretta. Rossi, sorseggiando un tè, ha fatto intendere al suo ospite, che ha accettato invece un caffè, che non aveva e non ha alcuna intenzione di fare passi di lato. Il governatore è convinto, e lo ha ribadito, che solo lui con l’amministrazione uscente potrà dare filo da torcere a Fugatti e frenare l’avanzata leghista, «spiegando» al suo ospite che lui potrebbe tuttalpiù recuperare qualche deluso orientato all’astensionismo o una frangia di elettorato di sinistra.

«Ma il presidente sbaglia - sostiene Ghezzi - nel pensare che rivendicare la buona amministrazione sia sufficiente perché l’ondata populista in arrivo prescinde da come si ha amministrato. Io sono convinto che il Trentino sia stato amministrato bene negli ultimi anni ma occorre prendere atto che in questo momento la gente dice semplicemente “via tutti quelli che hanno governato fino ad ora”». Non solo la gente della strada ma - secondo Ghezzi - anche i dirigenti e i funzionari provinciali sono stufi dell’attuale classe politica. E dunque, per tornare ai timori di impreparazione all’amministrazione sventolati da Panizza e dal Patt, «il problema non è essere un manager che conosce a menadito leggi e regolamenti, perché per quello ci sono appunto i dirigenti. L’amministratore deve dare le giuste indicazioni e fare le scelte politiche».

Rossi non entra nel merito della chiaccherata di martedì ma preferisce ribadire la sua fiducia nelle possibilità di vittoria e l’impegno per realizzare il 21 ottobre questo risultato a favore del centrosinistra autonomista. «Credo - afferma - che dobbiamo offrire a tutti i trentini una proposta politica chiara nei valori, appassionata nello stare vicino alle persone, seria nei programmi e affidabile nelle persone. Una proposta che valorizzi al massimo tutte le potenzialità del Trentino e che lavori senza sosta per correggere e superare le criticità».

I due potenziali contendenti insomma per il momento si studiano senza affondare i colpi. Ghezzi continua a definirsi un «fantacandidato» anche se non si può dire che se ne stia con le mani in mano. Attivo sui social lancia messaggi e suggestioni, proponendo ad esempio di cambiare la legge e allargare la giunta provinciale da sette a dieci assessori, riducendo i compensi, in modo da avere meno concentrazione di potere, più specializzazione e possibilità di coprire temi trascurati: assessorato alla legalità o alle solitudini crescenti, dai cyberadolescenti agli anziani. Ma a chi, come Enrico Franco in un’editoriale sul Corriere del Trentino, lancia l’idea di una staffetta tra Rossi e Ghezzi, con candidatura del primo a presidente e la promessa di passare il testimone a metà legislatura, il giornalista in rampa di lancio risponde picche: «Ringrazio Enrico Franco per le parole di stima - dice - ma credo che quella sarebbe una formula da vecchia politica. Se devo essere elemento di discontinuità come lo spiego agli elettori che però il candidato rimane il presidente uscente?».

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