Mentre scattano i lockdown in Francia e Germania, i leader Ue cercano una nuova strategia

Mettere in piedi un sistema per evitare il terzo lockdown e darsi supporto reciproco, dove possibile, per affrontare la nuova fase critica della pandemia.

I leader Ue, travolti dall’impennata crescente dei contagi della seconda ondata Covid, si sono dati appuntamento in videoconferenza per tentare di trovare maggiore coordinamento e scambiarsi buone pratiche. Niente di risolutivo, ma una dimostrazione di volontà politica di agire a 27 nonostante le questioni sanitarie siano di competenza nazionale.

Una riunione a cui ne seguirà un’altra tra una decina di giorni, e poi altre ancora nelle prossime settimane, fino a quando l’incubo Covid non sarà finalmente alle spalle.

La speranza è che le misure ormai introdotte in molti Paesi dell’Unione, da quelle estreme  di Francia (confinamento da stasera, ma scuole e imprese aperte) e  Germania già a fare i conti col secondo lockdown, ma anche gli stretti giri di vite in  Spagna, Belgio, Italia, Olanda, e Lussemburgo siano in grado di produrre un rallentamento del virus. Un risultato che i capi di stato e di governo auspicano di vedere tra uno o due mesi, ma che sono ben consci non basterà. Il traguardo di un vaccino, o del ritorno dell’estate resta lontano.

Serviranno almeno sei-otto mesi. Un tempo infinito. Per questo occorre lavorare su un doppio binario: da un lato rafforzare la solidarietà europea per alleviare i Paesi che non ce la fanno a fare fronte al flagello, in termini di ventilatori, di test, o di posti letto nelle terapie intensive, e dall’altro pensare a strategie comuni per evitare di finire nell’angolo per una terza volta, in questo pericoloso andamento di curve a fisarmonica.

Mercoledì la presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, presentando il pacchetto di iniziative per fare quadrato di fronte ai contagi, si era lasciata sfuggire una mezza frase di autocritica: i confinamenti nei mesi scorsi «sono stati revocati troppo presto». Ma soprattutto, le iniziative sono state allentante senza una precisa traiettoria di azioni per affrontare un futuro di recrudescenza già annunciato.

Decisioni dettate soprattutto dalla necessità di dare una boccata di ossigeno all’economia agonizzante, e concedere una tregua ai cittadini fiaccati.
L’obiettivo del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel convocare  la videoconferenza è stato proprio questo, rafforzare lo «slancio politico» per raggiungere un quadro comune su alcuni passi concreti da compiere, come ad esempio i test rapidi, con un riconoscimento e un’omologazione a 27, vincendo le ultime perplessità di alcuni Stati membri, ma anche  mettere a punto una roadmap per la somministrazione dei vaccini. Ne arriveranno 50 milioni di dosi al mese, e sebbene sia previsto un accesso immediato di tutti gli Stati membri in base al numero di abitanti,  occorrerà darsi delle priorità.

La Commissione europea  ha messo sul tavolo varie raccomandazioni, si è data da fare con i pre-accordi per accaparrarsi i vaccini (ce ne saranno per 700milioni di persone),  si è mobilitata per l’acquisto di 22 milioni di kit di test rapidi (e sta lanciando un nuovo bando di gara congiunto)  ma ora occorre concentrare gli sforzi e razionalizzare ulteriormente, decidendo chi fa cosa, come, e con quale tempistica.

È una corsa contro il tempo,  mentre i reparti di terapia intensiva si riempiono, con i sistemi sanitari che nelle prossime due settimane - quando i numeri sono previsti ancora in salita - potrebbero arrivare al collasso. E la consultazione periodica tra i leader servirà anche allo scambio di dati e di informazioni, per un aiuto reciproco e pratico, se possibile, come già avvenuto in passato, col trasferimento di pazienti da un Paese all’altro.

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