Ascesa e caduta del cardinale Pell travolto dalle accuse di pedofilia

Era l’uomo che papa Francesco, anche in virtù del suo decisionismo e della sua grinta da «ranger» australiano, aveva scelto per rivoluzionare le finanze d’Oltretevere. Ma la parabola del cardinale George Pell, 77 anni, tuttora «ministro» vaticano dell’Economia anche se il mandato quinquennale gli è scaduto due giorni fa e se l’età del pensionamento l’ha superato da oltre un biennio, l’ha visto travolto da accuse di pedofilia, prima di presunte coperture e poi di abusi su minori commessi in prima persona, tali da precipitarlo nella polvere di una condanna che potrebbe costargli fino a 50 anni di carcere.

Comunque la fine sicura di una carriera che lo aveva proiettato fino ad essere tra i più stretti collaboratori del Papa, anche come membro del «C9», il consiglio di cardinali che assiste Bergoglio nel governo della Chiesa e nella riforma della Curia, da cui Pell è uscito il 12 dicembre scorso, ufficialmente per ragioni di età, insieme ad altri due componenti.
Nato a Ballarat, nello Stato di Victoria, l’8 giugno 1941, Pell conduce i suoi studi ecclesiastici anche a Roma, all’Università Urbaniana, venendo ordinato sacerdote il 16 dicembre del ‘66 in San Pietro dal cardinale armeno Aghagianian.

La sua carriera sembra inarrestabile: dopo aver prestato servizio come parroco a Ballarat, nell’87 diventa vescovo ausiliare a Melbourne, nel ‘96 arcivescovo nella stessa sede, e poi nel 2001 arcivescovo metropolita a Sydney e primate d’Australia, cardinale per mano di Giovanni Paolo II nel concistoro del 21 ottobre 2003.

Considerato un conservatore nella Chiesa (è uno dei cardinali che celebra la messa tridentina dopo la riforma liturgica), convinto thatcheriano in economia, Pell diventa sempre più uno dei porporati di primo piano: nel 2010, durante il pontificato di Ratzinger, viene proposto dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone alla guida della Congregazione per i vescovi, ma la nomina è bloccata dalla pressione da più parti, cui si aggiungono anche le critiche per la gestione di alcuni casi di pedofilia, da parte di un’associazione irlandese di vittime.

Ma è dopo l’arrivo in Curia a Roma, prima come membro del «C9» e poi, il 24 febbraio 2014 come prefetto della neonata Segreteria per l’Economia (i cui poteri vengono però in breve ridimensionati lasciando all’Apsa la gestione dei beni), che sul porporato australiano si concentrano le indagini anti-abusi, prima della Commissione nazionale d’inchiesta sulla risposta della Chiesa (drammatiche le quattro sedute d’interrogatorio cui Pell viene sottoposto in videoconferenza da Roma) e poi con la messa in stato d’accusa dalla polizia australiana il 29 giugno 2017 per abusi sessuali su minori prima a Ballarat e poi anche da vescovo di Melbourne.

Il Papa «congeda» subito Pell da prefetto dell’Economia perché si possa difendere in Australia nel processo. E ora, quasi due anni dopo, arriva la condanna.
La Santa Sede si mostra prudente, attendendo l’esito definitivo dei vari gradi di giudizio. Su Pell resta per ora il divieto dell’«esercizio pubblico del ministero» e «il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età». Ma c’è già chi, in nome di una più drastica tolleranza zero, invoca sul suo conto provvedimento analoghi a quelli imposti all’ex cardinale di Washington Theodore McCarrick, prima privato da Bergoglio della porpora e poi dimesso anche dallo stato clericale.

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