Morto durante un fermo di polizia Salvini: dovevano offrirgli un caffè?

«Se i poliziotti non possono usare le manette per fermare un violento, ditemi voi cosa dovrebbero fare, rispondere con cappuccio e brioche?».
Mentre si infiamma la polemica sul caso del tunisino morto per infarto dopo essere stato fermato dalla polizia durante un controllo in un money transfer, a Empoli, il ministro dell’Interno usa Facebook per augurare «buon sabato ai poliziotti che, facendo il loro lavoro - dice Salvini - hanno ammanettato un violento, un pregiudicato che poi purtroppo è stato colto da arresto cardiaco».

Le indagini sulla morte di Arafet Arfaoui sono in pieno svolgimento. Il tunisino, 31 anni, è morto mentre era ammanettato e aveva le caviglie legate da un cordino perché dava in escandescenze. Sul posto c’era anche il personale del 118.
Lunedì ci sarà l’autopsia e serve ancora tempo per completare gli accertamenti.

Intanto però la vicenda ha acceso un dibattito sulle modalità di intervento della polizia e del 118. In campo è sceso Salvini e a tutela del del personale è intervenuto il capo della polizia Franco Gabrielli: «Io rispetto le vittime e i loro familiari, chiedo che analogo rispetto sia riferito a uomini e donne che lavorano per riaffermare le legalità. Se qualcuno ha sbagliato pagherà per un giusto processo e non per le farneticazioni del tribuno di turno».

Tuttavia, inevitabilmente, l’episodio richiama l’attenzione dei familiari di altre vittime, come Stefano Cucchi, Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi, che ravvisano analogie con le loro vicende. Dura Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto dopo essere stato portato in caserma a Varese nel 2008: «Questo è il metodo delle forze dell’ordine. Con l’appoggio di Salvini, ora, hanno la licenza di uccidere». Per gli altri c’è una specie di copione che si ripete. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, si dice «preoccupata. Si tratta di vicende tutte uguali. Quello che avviene un istante dopo la notizia, avviene sempre con le stesse dinamiche e meccanismi. Nessuno mette in discussione l’abilità e l’operato della parte perbene delle forze dell’ordine. Resta il fatto che di fronte a simili accadimenti assistiamo a prese di posizione preventive» e «Salvini interviene e fa il giudice. Non abbiamo fatto passi in avanti: sarebbe bene aspettare di capire meglio prima di assumere posizioni».

A Firenze Guido Magherini, padre di Riccardo, morto durante un fermo dei carabinieri nel 2014, parla di una specie di «prassi». «Ogni caso è diverso, non so se ci sono analogie con la vicenda di mio figlio Riccardo - dice -. Però anche nel fatto di Empoli è stato detto che tirava calci, che era in forte agitazione, che non riuscivano a tenerlo. E poi anche questo ragazzo è morto. Sembra una prassi.
Si vede che la colpa è sempre di chi muore». Per la madre di Federico Aldrovandi «è come se uccidessero Federico ogni volta.
Ed è proprio così».

Luigi Manconi, direttore dell’Ufficio antidiscriminazioni razziali, auspica indagini tempestive e accurate. Il sindaco di Empoli Brenda Barnini ha detto: «Rispetto e credo nel lavoro della Giustizia come unico potere in grado di chiarire le circostanze. Non si strumentalizzi questa vicenda».

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