Manovra, braccio di ferro sul fisco

Il punto cardine del decreto fiscale collegato alla manovra è ancora un capitolo tutto da scrivere nell'articolato del provvedimento, tanto che Lega e M5s, coordinati dal premier Giuseppe Conte, andranno avanti ad oltranza anche oggi per cercare di far quadrare i conti.
Giovanni Tria e i sottosegretari al Mef, insieme a mezzo governo (ma non ai due vicepremier, entrambi fuori Roma), sono stati convocati a Palazzo Chigi in un apposito pre-consiglio per cercare di sciogliere la matassa e riuscire a chiudere oggi sia il Draft Budgetary Plan, la «bozza» di manovra attesa a Bruxelles entro la mezzanotte, sia il decreto collegato alla legge di bilancio. Un pacchetto che secondo Luigi Di Maio dovrebbe comprendere anche il varo immediato della manovra, cosa ritenuta molto complicata invece da Matteo Salvini.
I nodi dunque restano: per i pentastellati il concetto di pace fiscale non può minimamente confondersi con quello di condono. La linea accettabile per il Movimento è quella del ravvedimento operoso, strumento già esistente. La soluzione potrebbe essere rafforzarlo, ampliandone le modalità e la validità temporale. La Lega punta però più in alto: alla dichiarazione integrativa, considerata inaccettabile dai 5s. Per venire incontro ai pentastellati, si è cercato di alzare al 25% (e non più il 15%) la percentuale da pagare sul debito totale. Sul tavolo c'è poi anche il problema dell'emersione dei contanti. L'urgenza di affrontare la questione pace fiscale è legata alla necessità di trovare le coperture per la manovra 2019 che il governo dovrà necessariamente indicare nel Documento programmatico da inviare a Bruxelles. Gli aumenti di entrate ammontano a 8 miliardi, mentre i tagli sono quantificati in circa 7 miliardi. Non a caso il tema della riduzione della spesa pubblica, a partire da quella spinosa dei ministeri, è al centro anche dei colloqui della serata, cui partecipano Riccardo Fraccaro, Paolo Savona, Alfonso Bonafede, Barbara Lezzi e Giulia Bongiorno. Ma una fetta importante di risorse, pari a 1 miliardo di euro, arriverà secondo Luigi Di Maio, anche dal taglio delle pensioni d'oro che rientrerà nel decreto fiscale con un intervento che riguarderà gli assegni sopra i 4.500 euro e non quelli più bassi.
Non è un'indiscrezione ma un dettaglio in più quello fornito invece da Conte sul reddito di cittadinanza: «Stiamo pensando a come modulare le offerte di lavoro anche su base geografica», ha spiegato il premier. In pratica, valutando a chi far perdere o meno il sostegno dopo il rifiuto di posti di lavoro, si cercherà di non penalizzare chi non accetterà come prima offerta un'occupazione al di fuori della propria città o regione.
Ma nel governo si consuma anche un altro strappo: quello su Alitalia. Le diverse anime del governo continuano a tenere sotto mira il ministro del Tesoro, Giovanni Tria, intento a lavorare, ma sotto traccia, ad una soluzione compatibile con Bruxelles per l'ex compagnia di bandiera. Il tutto con l'Ue in attesa che si chiarisca cosa accadrà del prestito ponte di 900 milioni e quindi cosa si deciderà sulla procedura di infrazione per aiuti di Stato.
Così mentre fioriscono le ipotesi tecniche (da un coinvolgimento di EasyJet, Boeing, le compagnie cinesi) la partita assume sempre più i toni della politica fino alla minaccia dei 5 Stelle, di un possibile rimpasto di governo. Più «cauta» la Lega che, invece di andare allo scontro diretto con il titolare di via XX Settembre si richiama semplicemente a quanto scritto sul contratto di governo che, alla voce Alitalia, recita: «Siamo convinti che questa non vada semplicemente salvata in un'ottica di mera sopravvivenza economica bensì rilanciata, nell'ambito di un piano strategico nazionale dei trasporti che non può prescindere dalla presenza di un vettore nazionale competitivo».

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