Fece propaganda Isis su social 35enne condannato a 18mesi

Per avere pubblicato su Facebook una decina di video sullo Stato islamico è stato condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere Omar Nmiki, 35enne marocchino arrestato nel marzo 2017 nell’ambito di un’inchiesta di Perugia con l’accusa di istigazione e apologia del terrorismo. Lo ha deciso nel primo pomeriggio la prima Corte d’Assise di Milano, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, che ha accolto, ritoccandola al ribasso, la richiesta di condanna a 3 anni e sei mesi avanzata dal pm Paola Pirotta.

I giudici, che hanno anche disposto l’espulsione dell’uomo a pena espiata, hanno escluso l’aggravante della «finalità di terrorismo», in quanto già ricompresa nel reato 414 del codice penale, che disciplina l’istigazione e l’apologia a delinquere.

Nella sua requisitoria, questa mattina, il pm ha sottolineato che l’imputato non si è «limitato a manifestare il proprio pensiero su Facebook, ma che la sua intenzione era propagandare il messaggio di distruzione» dello Stato islamico, sfruttando la «potenzialità dei social che è indiscriminata ed enorme». E ancora: «Il contenuto delle immagini postate esalta l’uso delle armi, la glorificazione del martirio e suscita interesse e condivisione della Jihad tra i credenti musulmani».

Di segno opposto la tesi del difensore di Nmiki, l’avvocato Sandro Clementi, che ha chiesto l’assoluzione del suo assistito e ha invitato a decidere senza farsi influenzare «dalle proprie convinzioni politiche», facendo «attenzione alle suggestioni del momento storico in cui viviamo (gli attentati terroristici degli ultimi anni, ndr) che »provocano allarme sociale«. Il legale, che impugnerà il verdetto, ha parlato di «sentenza pericolosa perchè da un lato smentisce l’impianto accusatorio, dall’altro nega che esista ancora in Italia uno spazio per la libera manifestazione del pensiero, anche quando riguarda, ad esempio, la violenza in Medioriente«. A suo dire la decisione della Corte »riduce lo spazio di democraticità del libero pensiero».

Il 35enne, che lavorava saltuariamente come operaio edile a Sesto San Giovanni (Milano), era stato arrestato un anno fa nell’ambito dell’operazione «DàWa» coordinata dalla Dda di Perugia e condotta dalla polizia postale. Era finito in cella insieme ad altre quattro persone (che hanno scelto il rito abbreviato) per avere condiviso video e immagini di combattimenti e di esecuzioni, di miliziani in preghiera o con il volto coperto da un cappuccio nero, poi la sua posizione fu trasferita a Milano per competenza.

Per inquirenti e investigatori, oltre ad avere diffuso video sullo Stato islamico sui social, Nmiki si sarebbe incontrato coi i suoi complici nel centro sociale Leoncavallo. »Non sono un ragazzo cattivo - aveva affermato nella scorsa udienza -. Andavo lì per ascoltare musica e incontrare ragazze, non per parlare dell’Isis«. Tra 60 giorni le motivazioni della sentenza.

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