Eternit, si tenta un nuovo processo per omicidio volontario

di Redazione Web

Sapeva tutto già nel 1976. Ma si adoperò per minimizzare i pericoli, per disinformare, per «evitare il panico». Mentre l’Eternit, l’azienda che dirigeva, si impegnava a «combattere con ogni mezzo» in difesa di se stessa. Questo dice la procura di Torino nel procedere contro Stephan Schmidheiny per l’omicidio volontario di 256 persone.
Mentre la difesa fornisce una lettura diametralmente opposta: l’imprenditore svizzero prese a cuore il problema amianto e fece il possibile per proteggere i dipendenti. Non solo: il nuovo processo non si farà perchè «si scontra - spiega il professor Astolfo Di Amato, che assiste Schmidheiny insieme al collega Franco Coppi - con il principio del ‘ne bis in idem’. Non si può essere giudicati due volte per gli stessi fatti. E questi fatti sono gli stessi già portati al vaglio della Cassazione nel procedimento per disastro doloso che si è chiuso l’altro ieri» con l'annullamento della condanna per intervenuta prescrizione.

Tutto ruota attorno a un fascio di carte: il testo dei discorsi pronunciati da Schmidheiny in un seminario riservato ai manager del gruppo, un manuale interno destinato ai dirigenti operativi, il dossier di un esperto in pubbliche relazioni assoldato dalla multinazionale. Non è molto, dal punto di vista della quantità, ma secondo gli inquirenti basta per dimostrare la piena consapevolezza dell’elvetico.
L’imprenditore citò persino Shakespeare quando nel 1976, a 28 anni, si rivolse ai quadri Eternit nel seminario di Neuss, in Germania: il tema amianto-salute cominciava ad essere discusso con insistenza in varie parti del mondo e «la situazione attuale - disse - è una sfida che va a toccare l’eterno problema di ‘essere o non esserè. L’amianto viene accusato di essere pericoloso e la concorrenza ne approfitta».

Schmidheiny elencò i risultati delle ricerche scientifiche sulle malattie provocate dalle fibre-killer. Ma la sua linea, giudicata minimalista dalla procura torinese, era che «l’amianto non è pericoloso se viene maneggiato in modo corretto». L’industriale ammetteva che «noi dobbiamo convivere con questo problema» e affermava che «siamo moralmente impegnati a salvaguardare la salute dei nostri lavoratori». «Comunque - precisava - è importante che non si cada nel panico. I direttori tecnici sono rimasti scioccati da questo seminario. La stessa cosa non deve succedere» agli operai.

La strategia prese forma quattro mesi dopo con documento Auls 76, un manuale che insegnava ai dirigenti come comportarsi. Suggeriva, per esempio, di dire che «l’amianto in quanto tale non è pericoloso» perchè lo diventava soltanto se si respiravano «per un periodo prolungato» quantità «eccessive» di fibre con diametro inferiore a 3 micron e lunghe fra 5 e 100 micron.
Falsità, secondo la procura di Torino. Era lo stesso manuale che, nell’introduzione, si proponeva di «reagire in maniera decisa e combattere con tutti i mezzi» per evitare che l’amianto venisse screditato perchè «la diffamazione può mettere a repentaglio l’esistenza della nostra industria».

I pm hanno scoperto un altro documento, chiamato fascicolo Bellodi, che racconta come un esperto di comunicazione, ormai negli anni Ottanta, maneggiasse le informazioni e fronteggiasse le polemiche. L’imperativo era mantenere «toni bassi». Ed evitare che fossero coinvolti i vertici Eternit in Svizzera.
Ancora più sorprendente, però, fu un altro manuale top secret: conteneva indicazioni e suggerimenti («tenere un profilo basso») per i manager italiani che eventualmente fossero stati coinvolti in processi come quello che, all’epoca, si stava aprendo a Casale Monferrato per reati colposi.

Frattanto, sul fronte politico, si ragiona sui nodi da sciogliere per riformare la prescrizione. Due su tutti: da quando deve partire e che fare dei processi in corso.

Dopo la sentenza Eternit, il guardasigilli Orlando ha assicurato che invierà il testo del governo al Parlamento la prossima settimana. «Il tema è in agenda», assicura il sottosegretario Ferri. Ma non è ancora chiaro se verrà trasmesso l’intero pacchetto in materia penale e processuale licenziato dal consiglio dei ministri il 29 agosto, che contiene anche la disciplina della prescrizione, o solo quest’ultima parte spacchettata dal resto. È certo invece che l’iter partirà alla Camera, commissione Giustizia, perchè lì è già iniziato l’esame di una serie di proposte. «Lo stralcio della sola prescrizione dal testo governativo renderebbe più agevole il lavoro combinato con i testi di iniziativa parlamentare. Ma mi auguro che arrivino parallelamente anche le altre misure, perchè serve una riforma di sistema del processo», osserva Donatella Ferranti, presidente della commissione.

Alla Camera c’è già stata una serie di audizioni - penalisti, Anm, esperti - ma non si è ancora adottato un testo base. In questo stadio, se il ddl del governo arrivasse davvero nel giro di pochi giorni - ipotesi che vede scettico Andrea Colletti dei Cinque Stelle -, per prassi sarebbe adottato come testo base per avviare il confronto. Se il testo del governo tardasse e si frapponesse altro tempo, la commissione - spiegano diversi componenti - non è intenzionata a perdere tempo e andrà avanti, ferma restando la possibilità del governo di intervenire con propri emendamenti.

«Il dato certo - assicura Walter Verini, Pd - è che tra il ddl che il governo ha detto di voler presentare al più presto e il lavoro della commissione, il lavoro procederà spedito». «Bene» la decisione del governo di presentare alla Camera il suo testo, ma «se arriva, andrà comunque valutato alla luce delle indicazioni giunte dalle audizioni appena concluse», aggiunge Ferranti, che ne preannuncia un’altra rapida serie.

Per fare presto, i Cinque Stelle, attraverso il capogruppo alla Camera Andrea Cecconi, si dicono pronti a rinunciare alle ferie natalizie.

La leader della Cgil Susanna Camusso invita Renzi a trasformare «la sua promesso in un decreto». Una «provocazione», dice Ferranti. «Non si può trattare per decreto una materia così delicata», aggiunge Ferri. E i nodi da dirimere sono intricati. Quella disegnata dal governo è una prescrizione a tappe: la decorrenza si ferma per massimo 2 anni dopo la sentenza di condanna di primo grado e per massimo un anno dopo l’appello.

Ma c’è chi sostiene che la prescrizione dovrebbe decorrere dall’iscrizione del registro degli indagati. E chi ritiene che andrebbe «sospesa a partire dal rinvio a giudizio, così da evitare che i processi cadano in prescrizione», afferma Colletti. C’è poi la questione dei processi in corso. C’è chi osserva che in campo penale, si applica sempre la norma più favorevole al reo: quindi una riforma più rigida non dovrebbe applicarsi ai processi aperti. Ed è la linea di Ncd e Forza Italia. Ma è una visione che non trova tutti concordi e c’è chi ritiene necessaria una norma transitoria. Accanto al problema della durata della prescrizione c’è quella della durata del processo e se si stabiliscono dei limiti, bisogna anche prevedere che succede se quei limiti vengono superati.

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