Caro 2020 ti scrivo, fra dolori e scoperte

Caro 2020, ormai sei... finito, ma voglio dirti addio come si deve, come si fa con chi è stato significativo nelle nostre vite, nel bene e nel male. E tu decisamente hai lasciato un segno. Sei stato un anno "particolare"… ci hai portato via così tanto e, probabilmente, quando in futuro ripenseremo a te, ti ricorderemo perfettamente, con dolore. Parleranno di te i libri di storia, ti descriveranno in tanti modi diversi e ti studieranno gli alunni di ogni dove, ma prima di tutto sarai l'anno della pandemia, delle morti e della crisi.

Eppure nel pomeriggio del 31 dicembre mi sono trovata a pensare che forse abbiamo capito poco di te e che tu sia stato anche molto altro. Quest'anno ho compiuto 28 anni, ma ancora molte cose non le ho capite. Non ho le idee chiare su molte cose, ma su alcune credo di aver capito qualcosa: mi sembra che tu abbia fatto di tutto per insegnarci qualcosa. Nel delirio del nostro tran tran quotidiano ci hai costretto all'improvviso a fermarci e ci hai chiuso in casa.

Ci hai costretto a imparare cose nuove, ad allenarci alla pazienza, a riscoprire il valore delle cose semplici, fatte insieme, fatte in casa. Abbiamo imparato tutti a fare il pane, la pizza, addirittura qualcuno il sushi e, nel pieno della paura, abbiamo sentito il bisogno di essere parte di una comunità: ci siamo sentiti uniti più che mai anche se a distanza.

Poi, ci hai mostrato che mondo sarebbe se non potessimo più stare insieme a chi amiamo e se dovessimo stare tutti lontano da tutti. Ci hai mostrato che mondo sarebbe senza cultura, senza musica, senza cinema, senza scuola, senza aperitivi con gli amici, senza sport, senza il nostro ristorante preferito… senza tutto. Ci hai costretto a scoprire che mondo sarebbe senza tutte le cose che più amiamo fare. Ed è un mondo che non vogliamo, perché stare insieme ci piace tanto. E per quanto lo sapessimo già, grazie a te quest'anno ne abbiamo avuto la prova. Io sono stata fortunata: se qualcuno vicino a me ha preso il Covid, lo ha fatto senza gravi complicazioni. Quindi so che posso permettermi di scriverti queste parole perché non sono ho sofferto.

Ma questo non significa che non possa parlare, anzi: tutti abbiamo vissuto il caos che hai portato. Se il primo lockdown ci ha avvicinato, intenerito, addolcito, resi partecipi ed empatici, il secondo ci ha incattivito, ci ha reso più egoisti, più polemici, più pronti a puntare il dito ed a evidenziare le mancanze. Prima che tu vada voglio dirti che in un certo senso mi mancherai. Mi mancherai per i momenti che ho potuto dedicare alla mia famiglia, a me stessa, alla mia formazione e alle mie passioni. Ma nello stesso non mi mancherai affatto. Non mi mancherai per il velo di paura che hai steso da quel terribile giorno di febbraio ad oggi, per le persone che non ci sono più, per quelle che soffrono per la loro mancanza, perché avrei preferito non imparare il significato di termini come DPCM o "quarantena" o "DAD".

Devo però anche dirti grazie per aver messo alla prova la mia pazienza e per avermi mostrato cosa davvero conta e che genere di persone non voglio nella mia vita: quelle che sono sempre più brave a fare il lavoro degli altri e quelli che fanno della polemica il loro pane quotidiano.
E grazie per avermi mostrato anche il lato bello del mondo: quello di quei ragazzi poco più che adolescenti che hanno messo a disposizione il loro tempo e messo a rischio la loro salute per aiutare gli altri, soprattutto gli anziani soli, quello dei volontari che si sono impegnati per arrivare ovunque, quello degli infermieri e dei medici che hanno rinunciato a tutto per salvare vite umane, quello degli insegnanti che si sono resi disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per raggiungere tutti gli alunni, quello dei genitori che hanno capito che con la scuola bisogna tenersi per mano e andare nella stessa direzione. Dunque, per la luce e la purezza che hai permesso di farmi di vedere, io ti ringrazio. Detto ciò, caro 2020, addio e benvenuto 2021!

Elena Spazzini


 

Riscoperto il valore delle piccole cose

Grazie per queste tue parole. Grazie per aver messo un anno - con ciò che ci ha dato e con il troppo che ci ha tolto - nelle tue righe. Grazie per questa lettura originale di una breve stagione che ricorderemo per sempre. E grazie anche per aver rimarcato le profonde differenze fra il prima (il primo lockdown è stato un periodo che abbiamo affrontato con un certo entusiasmo, con un certo ottimismo, con una declinazione diversa del concetto di speranza) e il dopo: al secondo lockdown, salvo qualche eccezione, siamo arrivati un po' tutti più cattivi, più stanchi, più disincantati, persino più pessimisti. Almeno idealmente, abbiamo scritto tutti che non sarebbe cambiato nulla. Sì, abbiamo sostenuto e detto a noi stessi che tutto sarebbe tornato come prima. Invece è cambiato tutto.

Molte cose torneranno, certo. Ma tante altre non sono recuperabili: le troppe vite che il covid ha strappato, spesso in un silenzio inaccettabile, in una lontananza che fa male anche se è motivata da ragioni inappuntabili; il lavoro che in troppi hanno perso e che altri ancora rischiano di perdere; la speranza che vacilla; gli anni (perché ormai sono quasi due anni) che migliaia di studenti non riavranno mai più; gli abbracci, le carezze e i baci che non torneranno.

Però c'è anche ciò che abbiamo avuto: abbiamo dato un nuovo senso al concetto di vicinanza (e anche a quello di lontananza, per paradosso); abbiamo riscoperto il valore delle piccole cose; abbiamo dato un peso diverso e nuovo alla fretta, alla frenesia, al desiderio di essere ovunque in ogni momento; abbiamo - talvolta dolorosamente, purtroppo - affrontato (e guardato) con nuovi occhi la vita e la morte.
E qui penso che ogni lettore potrebbe aggiungere alle tue parole e alle mie altre piccole o grandi sensazioni, altre "scoperte" e anche, temo, altre amarezze. Speriamo che il 2021 ci doni prima di tutto un sorriso.

lettere@ladige.it

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