Non è vero che l’elettore ha sempre ragione

La lettera al direttore

Non è vero che l’elettore ha sempre ragione

Caro direttore, nel corso della sua bella conduzione di Prima pagina, rispondendo a un radioascoltatore concludeva la sua argomentazione dicendo: «Certo che alla fine una sola cosa è sicura: gli elettori hanno sempre ragione». Era chiaro il senso dell’affermazione, voleva dire che in democrazia l’esito delle votazioni determina un risultato che va rispettato e da cui consegue, in vari modi, l’assunzione della responsabilità di governare. Tuttavia, in un’epoca in cui la necessità di semplificare la comunicazione modifica e distorce il significato di molte parole, dovremmo curare con attenzione ancora maggiore il senso delle affermazioni e la correttezza del messaggio che vogliamo inviare. In particolare nel confronto politico assistiamo da anni a un vero imbarbarimento dei modi di esprimersi, che in nome della visibilità e del consenso ha sdoganato ogni bassezza, dalla volgarità alla violenza verbale, dalla millanteria alla menzogna.

E il mondo dell’informazione, talvolta per dovere di cronaca talvolta per “stare sul mercato”, fatica a non essere travolto da questo andazzo e, nei casi peggiori, se ne fa complice. In questo contesto, il problema principale da affrontare è quello dei meccanismi di formazione del consenso, che dovrebbero fondarsi sull’esercizio dell’ascolto, della riflessione, della razionalità, dell’adesione a una visione di futuro, sull’esame dei dati di realtà. Così come tra le doti del buon politico dovrebbero esserci la competenza, la lungimiranza, la capacità di studio dei problemi, la moderazione e la capacità di mediazione, ed anche, certo, l’abilità di comunicare in modo interessante e comprensibile il suo pensiero.

So di apparire ingenuo, ma non possiamo rassegnarci a una situazione in cui l’essere un bravo comunicatore, l’avere doti da palcoscenico, l’essere istrione sono l’unica cosa che conta. E finire col dire: racconta balle, sollecita istinti invece che ragionamenti, non affronta i problemi veri, ma è un gran comunicatore: che bravo! Ma tant’è, lo stato delle cose è questo, pensare di cambiarlo, nella società dell’immagine e dello spettacolo, nel mondo della mercificazione di tutto, anche del consenso, è sicuramente velleitario. Allora però, cerchiamo di essere precisi.

Tornando alla sua affermazione, e scusandomi per averla presa a pretesto del mio ragionamento, dovremmo cominciare a pensare che, se la formazione del consenso ha sempre meno a che fare con la testa e sempre più con la pancia, non è vero che “gli elettori hanno sempre ragione”, così come, lo sappiamo bene, non è vero che “il cliente ha sempre ragione”. Chi vince le elezioni deve provare a governare, certo, ma non è affatto detto che abbia ragione nel merito delle analisi, dei programmi, delle scelte che fa. E se ci fosse ancora un po’ di saggezza, dovrebbe egli stesso esserne consapevole ed ascoltare, talvolta fare proprie, le buone ragioni di chi, magari ha perso le elezioni, ma potrebbe aiutarlo a sbagliare meno, a ravvedersi su alcune questioni, nell’ottica di perseguire finalità di bene comune e non di parte.

Maurizio Agostini


 

Le promesse in campagna elettorale

Lei ha capito molto bene il senso delle mie parole, ma anch’io capisco bene dove lei voglia arrivare. Le ripeto però un concetto, di cui ho parlato a lungo anche in radio citando Mario Monti, che ci ha sbattuto in faccia la verità e che non è stato esattamente travolto dal consenso. Alla fine governa chi viene scelto dall’elettore e così prevede il gioco della democrazia. In tal senso gli elettori - che non si pesano, ma si contano, concetto che spesso sfugge - hanno sempre ragione.

Anche quando premiano chi promette loro l’impossibile. Fra parentesi: quasi tutti i politici in campagna elettorale promettono l’impossibile, ma alcuni - penso al Berlusconi di ieri, ma anche al Salvini di oggi - sanno farlo meglio. Perché usano parole semplici e dirette e perché non si soffermano sulle verità scomode, preferendo sogni e promesse. Lei evoca la saggezza, ma in fondo a quasi tutti noi - quando votiamo - piace l’idea che qualcuno possa farci pagare meno tasse, darci lavoro, farci stare meglio, magari anche far vincere la squadra di calcio per la quale tifiamo.

Anche se quasi tutti noi, in cuor nostro, sappiamo che la saggezza è parente della razionalità e che dovrebbe dunque essere usata come un setaccio: facendo emergere le poche verità, spesso scomode, e disperdendo le classiche menzogne elettorali. Ma è più forte di noi credere nell’impossibile, puntando su chi sa vendercelo meglio, al di là della casacca o della felpa che indossa.

a.faustini@ladige.it

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