No, la montagna non è «assassina»

La lettera al direttore

Montagna da raccontare (e vivere) con equilibrio.

Caro Direttore, Il titolo della fotonotizia di lunedì 16 dicembre, sul quotidiano che tu dirigi («È incubo valanghe: Siusi, morta una donna»), mi dà lo spunto per riflettere sul modo di comunicare la montagna. Giovedì scorso il nostro Ordine professionale ha organizzato, su proposta del collega Ugo Merlo, vostro collaboratore, un interessante aggiornamento sul modo di comunicare la montagna.

Ebbene i relatori dell’incontro - Egidio Bonapace, guida alpina, maestro di sci, gestore da più di 25 anni di rifugi alpini, a lungo presidente dell’Accademia della Montagna e del Trento Film Festival, Riccardo Decarli, esperto bibliotecario di una delle più importanti Biblioteche della Montagna mondiali, quella della Sat, e curatore di significative pubblicazioni e articoli dedicati alla montagna, e Roberto Bertoldi esperto di montagna, già istruttore di Alpinismo in una delle più prestigiose scuole, la «Giorgio Graffer», e vicepresidente Sat - hanno evidenziato in vario modo come ci sia poca consapevolezza in generale della componente di rischio per chi frequenta la montagna e ciò, è probabile, si riflette in parte anche sul modo di comunicarla.

Chi frequenta d’estate e d’inverno e in qualsiasi stagione la montagna sa bene o, dovrebbe sapere, che il rischio zero non esiste mai. Fino a qualche anno fa, quando le condizioni familiari me lo permettevano frequentavo anch’io molto la montagna, in qualsiasi stagione. Ebbene mi è capitato più di una volta di essere “presa in giro” perché considerata una persona troppo prudente. Ho avuto un padre che mi ha accompagnato in montagna fin dalla tenera età e, magari in maniera fin quasi ossessiva, mi ha insegnato che chi va in montagna è sempre a rischio: «La montagna, la natura, è più forte di noi, sempre. La montagna non ti chiede mail il permesso».

La cultura vera della montagna, e a dirlo sono gli esperti, parte proprio da qui. A volte in occasione di fatti gravi con magari morti in montagna come purtroppo in questo caso, leggiamo frequentemente sui quotidiani, prevalentemente su quelli nazionali, titoli come “montagna assassina”. Ma la montagna, l’ha sottolineato con forza l’amico Egidio Bonapace, non è assassina. Mai. La montagna è lì, ha le sue regole. Siamo noi, semmai, che dobbiamo coltivare un poco di più la cultura del limite.

Mi premeva aprire una riflessione sul nostro modo (di noi giornalisti) di comunicare la montagna e far appello, direttore, alla tua sensibilità in questo senso, posto che vieni chiamato spesso da testate televisive e radiofoniche nazionali a dare il tuo parere. Come ci hanno insegnato - e tu direttore lo hai sottolineato in più di un’occasione - il giornalista contribuisce a formare l’opinione pubblica e, dunque, sta a noi comunicare la montagna in modo equilibrato.

Fausta Slanzi


 


No, la montagna non è assassina


Ti ringrazio. Anche per il tono pacato. È proprio così: la montagna non è assassina. Il rischio è che alcuni comportamenti - non necessariamente avventati, ma a volte certo non sufficientemente avveduti - la facciano sembrare tale. Abbiamo spesso scritto del rapporto complicato fra l’uomo e la natura, un rapporto che mette in conto la morte, la sfida che a volte diventa impossibile, l’estremo sacrificio, l’adrenalina che dona l’impresa riuscita, il dolore e la disperazione (quando s’arriva persino a morire) dell’impresa fallita, impresa che quasi sempre - se si torna comunque a valle con le proprie gambe - si ritenta. E abbiamo sempre cercato, scrivendo di questo rapporto pieno di poesia e di rischi, di fascino anche fatale, di non dare mai la colpa alla montagna o al lago o al mare. Perché la natura va vissuta, certo, ma anche profondamente capita, rispettata.

E non si può mai prendere in giro chi è troppo prudente, chi non osa “sfidare”, oltre alla natura, le condizioni atmosferiche spesso avverse. Ciò malgrado, non tutti rispettano le “regole” di cui parli e a volte anche chi le rispetta si trova di fronte all’imprevedibile, all’incalcolabile. È un prezzo che si deve pagare. Per vivere. E paradossalmente anche per morire. Però - anche se continuiamo ad intervistare esperti che invitano alla prudenza e che usano termini come i tuoi - fai bene ad invitarci sempre ad usare le parole con grande attenzione. Perché la montagna e la natura non si rispettano solo con le azioni, ma anche con le parole. Senza nulla togliere al gusto della sfida, alla ricerca dell’impresa, al tentativo - antico e moderno insieme - di domarla, la natura, in una conquista che dura un istante, ma che resta per sempre. Nell’eroismo di uomini che spingono il confine più in là, trasformando gli incubi - a volte oggettivi - in sogni.

a.faustini@ladige.it

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