Ormai abbiamo occhi solo per i telefonini

La lettera al direttore

Ormai abbiamo occhi solo per i telefonini

A destra, a sinistra tutti hanno le mani occupate. Giovani o vecchi che siamo (a questo proposito smettiamo di additare solo i giovani e pensiamo ai tanti anziani che si acquistano “fior fior” di telefonini di ultima generazione), risultiamo tutti indaffarati a maneggiare quell’oggettino “parlante”, ormai quasi invisibile. Cellulare all’orecchio in qualche occasione, ma comunque gelosamente ben stretto tra le mani, in una sorta di indispensabile prolungamento di noi stessi. D’altra parte ovunque ti muovi, incroci continuamente sguardi abbassati intenti a leggere messaggi più o meno criptici, o a scrivere con abile destrezza e velocità invidiabile.
Il tutto con il piacere incomparabile, in quei momenti, di annullare ogni rapporto con il mondo esterno, di tuffarsi in toto in un’atmosfera completamente virtuale, separati da tutto e da tutti. Che bello, non dobbiamo nemmeno sforzarci di salutare, tanto siamo assorti...

Siamo diventati “smartphone addicted”, ossia degli assuefatti allo smartphone, a tal punto che la nostra concentrazione prigioniera del microscopico schermo potrebbe portarci a sbattere contro qualche ostacolo naturale o artificiale. Anche sul lavoro, durante le pause-mensa che “piacere immenso” essere alle prese con quel simil-rettangolino così familiare, che ci sottrae dalla pesantezza perdente e depressiva dell’altro, dal doverci confrontare con colleghi petulanti e fastidiosi, o più esplicitamente ci libera dall’obbligo di relazionarci con il seccatore di turno. Tutti, insomma, alle prese con i tasti telefonici! Un tempo, giacca e cravatta, viso abbronzato e “mattonella” in mano, ecco il perfetto look dell’uomo d’affari. Ora il cellulare è un vanto collettivo, che ci viene in soccorso nei momenti difficili, un perfetto escamotage per isolarci dal nulla esterno. D’altra parte viviamo nell’era della comunicazione digitale ed incorporea, dei rapporti a distanza, del più asettico individualismo, a tal punto che risulta alquanto faticoso qualsiasi forma di interazione con gli altri. Allora meglio soli, o meglio in simbiosi con la tecnologia, che male accompagnati.

Claudio Riccadonna


 

Vivere senza “prolunga”

Penso sempre che le cose cambieranno, che non possiamo continuare a guardare solo quell’oggetto. Dobbiamo rialzare gli occhi, vedere altri occhi, ritrovare il gusto della parola che passa da una bocca all’altra e non da un cellulare all’altro. Conto molto su Darwin e sull’evoluzione della specie, in fondo, e quando posso dico alle persone che mi circondando che il telefonino si può anche lasciare in tasca. Io lo faccio praticamente in ogni riunione. Non solo aiuta a guardare in faccia le persone e ad ascoltare ciò che hanno da dire. Aiuta anche a capire che si può serenamente vivere senza “prolunga” e senza la connessione continua. Vedrà, un giorno lo capiranno anche quelli che, oggi, entrando in un museo o davanti a un quadro o a un altro capolavoro si chiedono se ci sia campo o una connessione Wi-Fi.

a.faustini@ladige.it

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