«No sostegni alla diffusione della omosessualità»

«No sostegni alla diffusione della omosessualità»

Caro direttore, nei giorni scorsi i giornali locali hanno riportato forti critiche alla decisione del competente assessore provinciale di non sostenere attività formative integrative che abbiano come obiettivo la lotta all’omofobia.

Penso utile distinguere tra discriminazione di persone, nei loro diritti, in rapporto al modo nel quale esprimono la loro sessualità ed espressione di giudizi verso modi di espressione della sessualità non corrispondenti al sesso geneticamente determinato. Mentre verso la discriminazione dei diritti il giudizio non può che essere negativo, salvo che la non normalità comporti conseguenze negative a terzi, verso il giudizio negativo che esprime indesiderabilità di espressioni di sessualità non congruenti con il sesso biologico vi deve essere piena libertà, non coartata da sanzioni, nemmeno simboliche.

Proprio su Avvenire del 6 settembre quasi un’intera pagina, riportando i risultati di un recente studio pubblicato dalla rivista “Science”, è dedicata alle cause dell’omosessualità, la cui radice può trovare elementi predisponenti nel patrimonio genetico, tuttavia non necessari e, non sufficienti e non prevalenti.

Come per ogni tendenza umana, vi è un concorso “di fattori ambientali, culturali ed esperienziali” di importanza nettamente prevalente rispetto alla dotazione genetica. Per il maxi studio, quindi, “le varianti genetiche di una persona non predicono i suoi orientamenti sessuali”. Se i “fattori ambientali, culturali ed esperienziali” sono le cause principali dell’omosessualità, è chiaro che l’ambiente sociale, i giudizi espressi, il vissuto esperienziale possono aumentare o diminuire la probabilità che una persona giunga a sentirsi e a comportarsi come omosessuale. E in effetti da società a società varia molto la quota di persone omosessuali.

È evidente che se comportamenti omosessuali sono giudicati normali, aumenta la quota di omosessuali. E, per converso, se in una società l’omosessualità viene giudicata negativamente, tenderà ad abbassarsi la quota di persone che si sentono omosessuali. Se, quindi, la lotta all’omofobia è interpretata come lotta a giudizi negativi espressi verso l’omosessualità, giudicata condizione non desiderabile, una devianza dal modo normale di vivere la sessualità, non si fa altro che contribuire alla moltiplicazione delle persone con tendenze omosessuali e al rafforzamento di movimenti ed associazioni che presentano i comportamenti omosessuali come positiva espressione della propria scelta di genere.

Non si vede perché tra le politiche culturali ed educative dell’ente pubblico, sia esso Comune. Provincia, Regione, Stato, Unione Europea o Onu, vi debbano essere sostegni all’aumento di probabilità che si diffonda l’omosessualità. Il giudizio sociale negativo, compresa entro certi limiti la “presa in giro” informale, bonaria, di compagni e amici, è uno strumento di controllo sociale primario del tutto normale per ridurre la quota di comportamenti socialmente non desiderati o considerati negativi. È un meccanismo che vale per tutti i comportamenti socialmente non desiderati, come la sociologia insegna.

Altra cosa la discriminazione nei diritti, ma la positività di giudizi degli altri sui miei comportamenti non è certo un diritto. Bene ha fatto l’amministrazione provinciale a evitare che, in nome della lotta all’omofobia (termine improprio, non trattandosi di “paura”), si contribuisca alla diffusione di una cultura che aumenti il tasso di omosessualità, specie in periodi della vita, come quello adolescenziale e giovanile, nel quale la sessualità si va configurando e maturando, con possibili confusioni momentanee tra rapporti amicali emotivamente connotati e pulsioni sessuali.

Renzo Gubert


Giusto agire contro l'omofobia

A mio modestissimo avviso, invece, la cultura imperante si cambia anche con piccole cose. La conoscenza non produce necessariamente diffusione; semmai offre strumenti per comprendere un fenomeno, per capire le tante difficoltà che l’accompagnano e lo caratterizzano.

In quanto al termine lotta (all’omofobia), devo dirle che invece io considero corretto, alla luce di un certo clima non esattamente favorevole nei confronti di ogni tipo di (presunta) diversità. Di fronte alla violenza - fatta di parole e di azioni - non bisogna abbassare la guardia. Non è mettendo la testa sotto la sabbia che si trovano le risposte corrette. È confrontandosi, dialogando, alzando lo sguardo.

Ho letto anch’io i risultati di quella ricerca, ma - con un approccio sociologico che lei dovrebbe conoscere bene - preferisco cercare di leggere la società e ci vedo molti atteggiamenti che di bonario non hanno proprio nulla, mi creda.

a.faustini@ladige.it

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