Gli insulti razzisti sono diventati “normali”
Gli insulti razzisti sono diventati “normali”
Caro direttore, l’Adige ha raccontato la storia di due donne: la prima, una vigile (perché mai vigilessa, come un’elefantessa?) in Val di Fassa, insultata da un fassano doc in quanto “non ladina”; la seconda, una medica all’ospedale di Borgo, offesa perché “di colore” (non bianco, si suppone).
Episodi odiosi che sono sempre accaduti. Oggi, però, sono incoraggiati dall’atmosfera politica che respiriamo, quella del “prima i trentini”, che ha sdoganato - psicologicamente - la “cultura” della differenza tra gli esseri umani, dei trentini più uguali degli altri.
Quando i diritti umani sono stratificati - per scelta politica - secondo categorie di residenza e di cittadinanza, non ci si può meravigliare se il rispetto si attenua per le categorie inferiori. Non crede?
Paolo Ghezzi
Mai abbassare la guardia
Partiamo dalla vigile (definizione effettivamente corretta) e dalla vigilessa (definizione comunque corretta, ma che può far pensare a un tono scherzoso e ricordare certe commedie italiane assai leggere): meglio la vigile, ha ragione. Ma comunemente si parla di vigilessa, dunque non darei a questa parola una connotazione negativa e non tirerei le orecchie al collega, anche se è sempre opportuno riflettete sul peso di ogni singola parola.
Sul resto, temo anch’io - e l’ho scritto più volte, anche in questa rubrica - che certe scelte finiscano per cambiare il nostro modo di vivere, di pensare. Per questo non abbassiamo la guardia e non smettiamo di scandalizzarci e di considerare mostruosi certi episodi.
a.faustini@ladige.it