Tanta gente in difficoltà, ma anche tanta solidarietà. Casagranda: "Occorre fare rete"

di Chiara Zomer

Saranno anche tempi complicati, in cui si rischia lo sfilacciamento delle comunità, ma la società trentina ha gli anticorpi necessari per dare risposte. È questa la lezione che arriva da Covid. Un esempio ne è l’Aiuto alimentare: «Abbiamo sempre più richieste. Ma abbiamo anche sempre più gente che ci aiuta, che porta quel che può - osserva Giorgio Casagranda, presidente di Trentino Solidale - Quel che dobbiamo fare noi, è imparare a fare rete, a collaborare di più tra noi». Ma il sistema ha le risorse per rispondere ai bisogni. E questa è già una buona notizia, per un 2021 in cui ci si aspetta un peggioramento, sul fronte delle povertà emergenti.
Covid è stato un terremoto, dal punto di vista anche economico e sociale.

Qual è la situazione, dal vostro punto d’osservazione?
«Rispetto agli anni passati, un fenomeno che ha avuto di sicuro un grande impatto, è quello dei dormitori privati. Durante tutto l’anno abbiamo avuto i dormitori pieni, a cui garantivamo cibo per pranzo e colazione. E lì abbiamo visto un’utenza che diventava mano a mano diversa. Accanto ai classici senzatetto, da quel che posso vedere io, ci sono anche persone che si sono ritrovate a dover stare per strada, perché una volta perso il lavoro hanno perso l’appartamento, e trovano questa soluzione temporanea».

Da una vita ordinaria alla strada in un colpo. È uno scivolamento nella povertà improvviso, senza rete.
«Sì. È un fenomeno che c’è sempre stato, ma Covid l’ha accentuato».

E poi ci sono le famiglie.
«Certo, quelli che già seguivamo, a cui si aggiungono persone nuove. Da noi arrivano ogni giorno tante telefonate, la gente chiede come può muoversi. Naturalmente Trento agisce come il catalizzatore, a Trento e Rovereto c’è la maggior concentrazione. Ma la stessa cosa accade nelle vallate».

Dovessimo quantificare l’aumento?
«C’è un buon 15, 20% di crescita».

Una pressione importante. Riuscite a garantire aiuto a tutti?
«È vero che c’è una grandissima richiesta. Ma, per contro, abbiamo riscontrato un’enorme attenzione da parte dei trentini. Per questo non abbiamo problemi rispetto alla disponibilità di cibo. È davvero incredibile la risposta che abbiamo avuto. Ognuno fa quel che può: abbiamo persone che passano dal supermercato e portano qui prodotti per 2-300 euro. Ma poi c’è anche il disoccupato che arriva con tre panettoni. Te li mette in mano e ti dice: “Io di più non posso, ma questo ce l’ho, almeno questo te lo porto”. A questa sensibilità, a questa attenzione va dato un significato particolare».

E poi ci sono stati gli accordi con la grande distribuzione.

«Sì, devo dire che non abbiamo mai avuto a disposizione una così grande quantità di prodotti dalla grande distribuzione. Per quanto riguarda i freschi invenduti, ma anche rispetto alle eccedenze. Parlo di Latte Trento, Dao, Segatta, la grande distribuzione. La chiusura degli alberghi genera delle eccedenze assolutamente non smaltibili, se non donandole a noi. E lo vediamo perché spesso sono confezionate per poter essere distribuite negli alberghi, per esempio confezioni da 5 chili di yogurt. Sono prodotti che a noi sono venuti molto comodi per i dormitori».

Quindi almeno sul fronte vostro non c’è un’emergenza viveri.
«No, e devo dire con soddisfazione, non c’è nemmeno carenza di volontari. Anzi, ci sono sempre persone nuove, che vengono e si propongono, perché vogliono dare il loro contributo».

Adesso quanti siete?
«Siamo 600 sull’intero territorio, che però va da Vipiteno fino ad Affi. Quotidianamente operano 150-200 persone, in tutte le valli. Le vacanze natalizie non ci hanno aiutato dal punto di vista della logistica, ma siamo stati operativi tutti i giorni, escluso Natale e Capodanno.Chiaramente questo fa si che determinati turni qualcuno li ha saltati, ma in parte li abbiamo recuperati, in parte finiremo di recuperarli da lunedì, quando si torna a regime regolare».

Se le risorse, sia economiche che umane, non mancano, ora si tratta semplicemente di essere in grado di intercettare tutti i bisogni. In questo senso l’emergenza causata dalla pandemia ha insegnato qualche cosa?
«Senza dubbio questa emergenza ci ha insegnato che dobbiamo fare rete. Da una parte ci sono le istituzioni, e dall’altra tutte le realtà che si occupano di questo, a cui arrivano telefonate di richieste per la messa a disposizione di cibo. Quando sarà finita dovremo fermarci e riflettere un po’ tutti assieme. Dovremo fare il punto seriamente. Perché siamo tante realtà e interveniamo con modalità diverse. C’è il banco alimentare che opera in un modo, la Caritas in un altro che opera attraverso i pacchi che fa, ci siamo noi. Dovremo riuscire a mettere assieme tutte queste realtà, e fare uno sforzo non dico di uniformità di metodo, perché ognuno opera come crede, ma per lo meno di cordinamento e conoscenza di quello che fanno gli altri».

Questo dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi. Rispetto invece agli assistiti, con persone che conoscono la povertà all’improvviso, com’è accaduto quest’anno con Covid, si rischia di non intercettare tutti i bisogni?
«Certo il problema più grosso per queste persone è superare la vergogna di dover chiedere. Per loro serve avere un approccio molto pragmatico, certo non burocratico. C’è la vergogna e poi c’è la paura, per esempio nelle famiglie dove si teme che, denunciando di avere difficoltà nel dare da mangiare a bambini, si possa correre il rischio di vederseli portare via».

Ci si percepisce soli e in qualche modo si ha paura delle istituzioni.
«E vedremo cosa accadrà quando perderanno la cassa integrazione e gli attuali ammortizzatori sociali, o quando sarà eliminato il divieto di licenziamento. L’importante è che sappiano che a Trento c’è una rete in grado di far fronte a questa emergenza».

Se il volontariato deve imparare a fare rete, l’intero sistema come deve evolvere, per rispondere in modo sempre più efficace?
«Alla base di tutto dev’esserci la volontà delle istituzioni, come terminale dell’intero sistema, per canalizzare le necessità. Perché sono le istituzioni che conoscono i territori e possono ragiungere quelle persone che noi non conosciamo. Al Comune le persone si rivolgono per chiedere l’alloggio, per un aiuto per pagare le utenze. Quelle sono richieste tipiche. Sono loro che devono riuscire a capire se, oltre a pagare le bollette, le famiglie hanno bisogno anche di un aiuto per fare la spesa. A quel punto arriviamo noi, che dobbiamo mettere da parte il campanilismo - ma lo abbiamo già fatto tutti - e metterci a disposizione».

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