L'autocritica di Lorenzo Dellai: «Contro la 'ndrangheta del porfido servivano regole più efficaci»

di Giorgio Lacchin

Senta, Lorenzo Dellai: commentando l'Operazione Perfido sul radicamento della 'ndrangheta in provincia - abbiamo usato le parole  dei magistrati - il vescovo Tisi ha detto che negli  ultimi anni il Trentino s'è voltato dall'altra parte per non vedere ciò  che stava accadendo. «L'arcivescovo dice una cosa giusta quando distingue  il valore dell'autonomia e dell'autogoverno dalla presunzione di essere  immuni ai fenomeni globali». 

Il vescovo parte proprio da lì. «I fenomeni  globali, sia quelli di natura tecnologica e culturale sia quelli, ahimè,  di natura criminale, sono per l'appunto globali».

Ovvio. «Si è sempre  saputo e discusso in tutte le sedi del fatto che la criminalità organizzata  - il sistema delle mafie - da sempre punta a penetrare, investire, riciclare  i proventi illeciti in aree del Paese che sono solide dal punto di vista  economico. È stato ricordato, anche l'altro giorno, che la Provincia aveva  istituito da tempo degli ?osservatori?, anche d'intesa con le categorie  imprenditoriali che su questo punto hanno sempre manifestato preoccupazione.  L'ex procuratore Dragone, non a caso, era stato incaricato di coordinare  un gruppo di lavoro e mi risulta che questo lavoro sia andato avanti». 

Quindi la percezione che l'autonomia non sia immune a questi processi,  esiste. «Sì, e certamente vicende come questa devono rafforzare la convinzione.  Perché non è soltanto un settore particolare come quello del porfido che  può essere d'interesse per questo tipo di penetrazione».

Secondo l'indagine, infatti, il radicamento della 'ndrangheta sarebbe avvenuto anche nei settori dell'autotrasporto e degli investimenti immobiliari. «Non sono delle novità  assolute, ma quest'ultima vicenda deve rafforzare il montoraggio e la collaborazione».   

Quale tipo di collaborazione? «Penso soprattutto a quella tra le banche,  le categorie imprenditoriali e ovviamente le autorità amministrative, giudiziarie  e investigative».

Il Trentino - ed è il secondo spunto lanciato dal vescovo  - sembra si stia ripiegando su sé stesso. «Ed è vero. Il Trentino si è  un po' seduto, accontentandosi di ciò che ha raggiunto. Ha smesso di ragionare  e di guardare avanti. Condivido il richiamo del vescovo - che non è solo  alla politica, mi pare, ma a tutte le componenti della società, anche quelle  economiche, sociali, civili e associative - di tornare a immaginare l'autonomia  come un progetto di civiltà, di comunità attenta ai valori». 

Ciascuno  di noi deve accogliere il richiamo. «...con l'umiltà di ammettere che  alcune cose vanno cambiate, rese più efficaci».

Ha impressionato l'autocritica di monsignor Tisi a proposito della Chiesa: anche i parroci si sono voltati  dall'altra parte, dice don Lauro. Ci ha colpito e sorpreso visto che i  magistrati hanno detto, prima di tutto, che i terminali della 'ndrangheta in Trentino erano collegati con altri magistrati, con carabinieri e vicequestori. Non parroci. «Io penso che quando le inchieste - non solo giudiziarie  ma anche penalistiche o di associazioni del territorio - quando iniziative  di questo tipo mettono in evidenza fatti del genere, e mi riferisco soprattutto  alla condizione dei lavoratori di alcune cave del porfido, tutti devono  fare autocritica. Perché il sistema, evidentemente, non ha letto attentamente  questi fenomeni o non ha ottimizzato le informazioni che pure circolavano,  immagino. L'autocritica è doverosa anche se, naturalmente, penso si debba  dare il giusto peso a questa inchiesta».

Il giusto peso in che senso? «Lei prima diceva: i magistrati erano collusi con la 'ndrangheta...». 

Non lo dico io: sono i magistrati a dire che i terminali della 'ndrangheta  erano collegati con altri magistrati, con carabinieri e vicequestori.  «Ciò che ho letto è che ci sono state delle occasioni conviviali promosse  da una persona che risultava avere, a quanto sembra, la stima della comunità». 

Vero. Giulio Carini, l'imprenditore di Arco di origini calabresi, aveva  la stima di tutti. «Secondo me va detto, però, che se la strategia di  questi gruppi malavitosi era anche di penetrare il sistema politico e amministrativo  del Trentino, beh, l'obiettivo non è stato raggiunto. Mi pare che l'inchiesta  metta in evidenza che tutto sommato il sistema di governo del Trentino  non è caduto nella trappola, anche se probabilmente qualche ingenuità ci  sarà stata. Alla fine, però, bisogna vedere quali responsabilità verranno  accertate. È assodato, per il momento, che in alcune realtà del porfido  ci fossero condizioni di lavoro terribili e non venisse rispettata la dignità  stessa delle persone. Fa bene il vescovo a dire che dovevamo accorgercene  e dunque intervenire. Però, ripeto, la vicenda in sé è già abbastanza grave  ma evitiamo che diventi il pretesto per dire che il Trentino è in mano  alle mafie e alla 'ndrangheta».

Questo è ovvio. «Già l'emergenza Covid  mette a dura prova la tenuta del rapporto di fiducia tra i cittadini e  le istituzioni, dunque bisogna dare il giusto peso alle cose».

Lei ha  governato il Trentino dal 1999 al 2012 ed è stato sindaco di Trento dal 1990 al 1998. Come lei diceva, il sentore che in certe cave della val di  Cembra succedessero cose strane si era percepito. Anche lei, in quegli  anni, lo aveva percepito? «Il settore del porfido è sempre stato particolare  da molti punti di vista: da quello ambientale a quello economico, fino  alle modalità di lavoro. Un settore che la Provincia ha considerato con  grande attenzione, anche attraverso diverse iniziative legislative».   

Ma lei non ebbe mai la percezione di fatti anomali? «Certamente non avevo  la percezione di una penetrazione della 'ndrangheta nei termini definiti  da questa indagine».

Capito. «Per carità!, ciò che emerge è grave ma  vediamo di non immaginare che la partecipazione a un evento conviviale  promosso da una persona che all'epoca era stimata dalla comunità locale  - Giulio Carini, appunto - sia sintomo e prova di una collusione con i  poteri mafiosi! Credo ci sia una grande differenza tra una valutazione magari di opportunità e una valutazione di correità nella penetrazione  mafiosa».

Okay. «L'impressione che mi sono fatto è che questa penetrazione  della 'ndrangheta ci sia sicuramente stata in Trentino, come in tante altre  realtà, ma dall'altra parte che il sistema politico, istituzionale dell'autonomia  - in quasi tutti i casi portati alla luce - abbia dimostrato di essere  assolutamente indisponibile a farsi coinvolgere in logiche d'interesse  di questo genere. Questo va detto».

E noi lo diciamo. «Ci sono stati  degli episodi gravi che devono far riflettere, anche in senso autocritico  - lo fa il vescovo, devono farlo tutti, compreso il sottoscritto - però  va notato che forse la nostra comunità ha le energie, benché un po' sopite  come dice monsignor Tisi, e quel senso di rispetto profondo delle istituzioni  per reagire, migliorare il proprio assetto e rendere ancora più difficile  l'insediamento di queste strategie criminali nella nostra comunità».

Ha  appena affermato che anche lei deve fare autocritica. Ci ha colpito, Dellai. «Chi ha governato una comunità dai vari punti di vista - non solo politico  - deve sentirsi responsabile per ogni cosa che accade. Cose che magari  avrebbe potuto rendere... come posso dire... più improbabili che accadessero.  Non so se mi sono spiegato». Si è spiegato. «Nel caso in questione, per  la verità, nel periodo che ho trascorso in Provincia, segnalazioni specifiche  su fatti che riguardassero penetrazioni malavitose mi pare di non averne  colte. Ma ciò non vuol dire che, evidentemente, non si potesse fare meglio;  magari trovare strumenti di monitoraggio migliori e addivenire a regole  più efficaci per il governo di quel settore. Questo è giusto dirlo. Sarebbe  sciocco il contrario». Grazie, Dellai. «Mi pare un atteggiamento onesto». 

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