Il magistrato antimafia Pennisi «L'ndrangheta in Trentino? Non mi stupisco, snodo la finanza»

di Domenico Sartori

«Nessuna meraviglia» dice Roberto Pennisi. Ecco, la meraviglia. Perché tirarla in ballo, a proposito di 'ndrangheta in Trentino? Di che stupirsi se la criminalità organizzata si è fatta impresa tra le cave, nell'autotrasporto, nel turismo sul Garda, se condiziona e governa amministrazioni comunali?
Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, esperto in ecomafie, è un osservatore privilegiato. Per due ragioni: perché conosce il Trentino, e perché ha dato il via, da Bologna, alla più grande inchiesta sul radicamento della 'ndrangheta nel Nord Italia: l'indagine Aemilia che ha portato all'arresto di Antonio Muto , esponente della famiglia Grande Aracri di Cutro, socio in affari di Giuseppe Battaglia (l'ex assessore di Lona Lases coinvolto nell'Operazione Perfido), nella Marmirolo Porfidi di Gardolo.
Dottor Pennisi, si è solo ora scoperto che c'è un radicamento della 'ndrangheta in Trentino che parte dagli anni '80, seguito dalla costituzione di una locale . È a conoscenza dell'inchiesta?
«Sì, il nostro ufficio ci porta a conoscere ciò che avviene nei distretti sul territorio nazionale. È una indagine sulla 'ndrangheta , settore che seguo da tempo: per tredici anni ho lavorato alla Dda di Reggio Calabria, fino ai primi anni Duemila, periodo in cui già si aveva notizia di trasmigrazione di soggetti calabresi verso quel territorio».
I personaggi coinvolti vengono da Cardeto...
«È un comune a pochi chilometri da Reggio Calabria, è la patria dei Serraino».
Lei, intervenendo in un convegno a Trento, nel giugno 2019, disse una cosa che fece scalpore. Disse: «Oggi non è la mafia che cerca l'economia. È l'economia che cerca la criminalità organizzata».
«Fece scalpore, perché la verità fa scalpore. Lo spiego. Oggi si sono invertite le gerarchie dei poteri. Un tempo la politica governava, disegnava le scelte, le strade dell'economia, quindi della produzione e del lavoro, e la finanzia era servente, funzionale all'economia. Ora, non è più cosi: la politica si è abbassata di livello e a reggere le sorti dei Paesi è la finanza. Sono i movimenti e le scelte finanziarie che reggono le sorti dei popoli e dei Paesi. Alla fine di ogni telegiornale si legge l'andamento della Borsa e dello spread».
Ma cosa c'entra la 'ndrangheta con tutto questo?
«Voglio prima rispondere alla questione: perché oggi sono gli imprenditori che cercano il crimine organizzato? Avviene perché esso, in questo caso la 'ndrangheta , ha potenziato il suo aspetto di soggetto finanziario. Il crimine organizzato, a differenza dell'economia e delle strutture legali, dispone di tanto denaro, che proviene dalle attività criminali, prima di tutto dal narcotraffico che non è mai andato in crisi, neanche con il Covid. Il numero dei sequestri e degli arresti per droga ne sono una conferma, e sono un minima parte della realtà del fenomeno».
È questo il punto?
«Sì, le organizzazioni criminali sono oggi un potere finanziario potentissimo, e questo le ha agevolate moltissimo per interagire con le strutture finanziare, ovviamente quelle illegali. Ma il problema è che, nella finanza, spesso il confine tra legale e illegale scompare. E che il denaro proveniente da attività illecite viene fatto confluire in un fiume dove le acque si fondono e confondono. E il denaro diventa un'àncora di sopravvivenza per imprese che non possono fare altro che rivolgersi a strutture illegali, se e quando - e avviene spesso - quelle legali, come le banche, non possono o non vogliono mettere a disposizione danaro».
Quali sono le strutture finanziare illegali?
«Sono strutture sovranazionali. Sono fondi che risiedono nei paradisi fiscali, che tante volte hanno nomi e cognomi di attività finanziarie note e conosciute, che non si fanno problema ad acquisire danaro sottoposto a lavaggio frutto del riciclaggio».
Dalla Operazione Perfido, però, emerge una situazione classica, fatta di minacce, ritorsioni, riduzione in schiavitù dei lavoratori stranieri impiegati in cava...
«Ma questo è normale! Le attività imprenditoriali dove c'è la presenza del crimine organizzato, sono caratterizzate non tanto dalla violenza e dalla minaccia nei confronti degli altri imprenditori, perché già infiltrati. Per cui c'è la sopraffazione del lavoro. Caporalato e lavoro nero sono il tipico frutto della presenza delle organizzazioni criminali nel tessuto imprenditoriale. Non solo nelle campagne pugliesi, calabresi o del sud della Sicilia. È un fenomeno rilevato spesso nel Nord Italia, soprattutto nel Nord Est, in Veneto».
Quindi lei non è sorpreso...
«E perché dovrei esserlo? Come non mi sorprenderebbe se l'ulteriore sviluppo delle indagini facesse venir fuori interconnesioni con altri poteri dello Stato. È nell'essenza della organizzazione mafiosa la interazione con altri poteri».
Uno degli arrestati, Giuseppe Battaglia, è stato assessore comunale alle cave.
«Questo mi meraviglia ancora meno. Quando gli uomini della 'ndrangheta negli anni '80 e '90 si spostarono verso quei territori, non lo fecero in maniera criminale: si spostarono avviando attività lavorative, come prestatori d'opera, lentamente trasformandosi in piccoli imprenditori, e crescendo, fino a diventare un potere Così è stato per la presenza della 'ndrangheta in Emilia, arrivata dal Crotonese».
Nell'ordinanza del giudice si parla anche di «avvicinamento, tramite la figura cerniera di Carini Giulio, dei rappresentanti delle più elevate cariche di istituzionali locali», di cene a base di capra e pesce con politici, magistrati di alto livello del tribunale di Trento, ufficiali dell'esercito e dei carabinieri, vicequestori...
«Mi dispiace. Vorrei anche poter dire: mi meraviglia. E qui mi fermo. È una conferma di quanto detto: rappresentanti delle istituzioni politiche e amministrative sembrano essere alla fine soggetti succubi di queste persone, utilizzate per ottenere dei risultati. Per fare impresa, serve una certa autorizzazione amministrativa, e il rappresentante delle istituzioni diventa esecutore di chi detiene il potere finanziario-economico».
La valle di Cembra è una valle fatta di piccoli paesi. Dall'inchiesta emerge anche una «capacità di intimidazione che è arrivata a condizionare persino l'operato della locale Stazione Carabinieri». Vengono i brividi, dottor Pennisi.
«Sì, certo che vengono i brividi. Uno non vorrebbe crederci, né a questo né a quello che ha detto in precedenza. Sembra di leggere roba da fantascienza. Ma ciò che sembra impossibile, quando si tratta di vicende del crimine organizzato, diventa possibile. Negli anni '90, ero in Calabria. Una notte ero a San Luca dove c'erano stati quattro omicidi contemporaneamente, e mi recai nella stazione dei carabinieri: una stazione martire che ha avuto due comandanti uccisi dalla 'ndrangheta . E lessi su un muro della stazione, all'interno, ciò che a matita aveva scritto un carabiniere che lì aveva operato: "Ciò che per gli altri è leggenda, per noi è realtà"».
Qual è il ruolo delle banche del territorio? Emerge che uno degli arrestati portava i soldi all'estero...
«Bisogna vedere cosa vuol dire portare soldi all'estero. Lo si può fare i mille maniere, varcando la frontiera che in Europa non è più tale, eccetto che con la Svizzera, senza necessariamente utilizzare le banche».

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