Porfido, mafia e interessi locali dall'auto bruciata alle denunce silenziate le memorie dell'ex segretario di Lona

Galvagni: «Unica soluzione, togliere le cave ai Comuni»

di Domenico Sartori

«In consiglio comunale e in Comune l’assessore Giuseppe Battaglia non si faceva mai vedere». Il ricordo di Marco Galvagni è nitido. È stato, fino a pochi giorni fa, segretario comunale a Lona Lases. Uno dei pochi a tenere la barra dritta, a non girare la testa altrove negli anni in cui l’ndrangheta metteva radici e si infiltrava nelle aziende e nelle amministrazioni locali. Uno dei pochi. Come Walter Ferrari, del Coordinamento lavoro porfido, e Andrea Gottardi, presidente della sezione autotrasporto di Confindustria Trento, intervistati ieri da l’Adige.

Dal 10 ottobre, Marco Galvagni ha cambiato vita. È ancora nell’organico del Comune di Lona Lases. Ma, su richiesta del governo (del sottosegretario Riccardo Fraccaro), è oggi in comando, e lo sarà per due anni, al Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Chiamato, come consulente, a dare il suo apporto in materia di legalità e trasparenza.

Dottor Galvagni, lei ha più volte, inascoltato, denunciato il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. E lo ha fatto in qualità di responsabile comunale dell’anticorruzione. Quale valutazione dà dell’Operazione Perfido?
«Non faccio valutazioni su inchieste penali, io mi sono sempre occupato degli aspetti amministrativi. E c’è una differenza: l’iniziativa penale, è fisiologico, arriva con anni di ritardo, lavora su fatti accaduti; quella amministrativa lavora per prevenire, per impedire le infiltrazioni».
Quando e come è arrivato a Lona Lases?
«Nel ’90, come segretario comunale reggente. Lì, non voleva andarci nessuno: quattro anni prima, come avete scritto, c’era stato l’attentato alla macchina del vicesindaco. Ci rimasi un anno e mezzo...».
Dopo l’auto data alla fiamme durante la seduta di giunta, non accadde nulla.
«Ci fu una retata dei carabinieri. Qualcuno fu indagato. Ma non si arrivò a nulla. Il clima era già pesante, allora».
Poi, dov’è finito?
«Vinsi il concorso e passai di ruolo, diventando segretario comunale a Stenico, fino al ’94. Si era in piena tangentopoli. A Stenico trovai una situazione aberrante: fu uno dei rari casi di ispezione, da parte della Provincia, su atti illegali pregressi, per appalti ed altro. Poi, sono stato a Bolbeno-Zuclo, a Molina di Ledro, a Sover. A Lona Lases sono ritornato nel marzo 2002».
E si è sempre occupato di cave?
«Certamente, sì».
Sorpreso da quanto emerso con l’Operazione Perfido?
«No. Mi sorprendono solo la stretta connessione e gli intrecci con la terra madre, la Calabria. Non sono invece sorpreso dagli intrecci politici».
Perché?
«Il Trentino, per disposizioni statutarie, ha competenza a legiferare sull’attività estrattiva. Vista la loro presenza duratura sul territorio, e tenendo conto delle numerose modifiche alla legge sulle cave, è evidente che questi soggetti avevano bisogno di interfacciarsi con la parte politica».
Lei è stato segretario comunale a Lona Lases negli anni (2005-2010) in cui Giuseppe Battaglia, finito in carcere, era assessore esterno alle cave, su nomina del sindaco Marco Casagranda. Che ricordo ha? E quali erano i rapporti?
«Giuseppe Battaglia, come risulta dai verbali del consiglio, in Comune non si faceva mai vedere. Lo avrò visto una o due volte in cinque anni: era “esterno” in tutti i sensi. Ma in consiglio c’era suo fratello Pietro (pure indagato, ndr), eletto con la lista Obiettivo Comune».
Scusi, ma che ci stava a fare, come assessore, se non si faceva mai vedere in Comune?
«Non lo so. Credo che la cosa importante, come emerge dalla letteratura sulla ’ndrangheta, sia il fatto che un incarico di assessore diventa un passaporto di prestigio, per accreditarsi verso le istituzioni».
Quindi non ha pesato molto nella gestione delle cave...
«Attenzione: gli amministratori collegati, direttamente o indirettamente, col settore del porfido erano otto».
Ricorda i nomi?
«Sì: Luca Anesi, Giuseppe Battaglia e suo fratello Pietro, Letizia Campestrini, Piermario Fontana, Mariella Valentini, Massimo Sottopietra, poi prematuramente scomparso, e il sindaco Marco Casagranda, imprenditore del settore. Che fossero coinvolti lo si rileva dal fatto che, per alcune delibere, erano costretti a lasciare l’aula. Ma non sempre accadeva».
Vale a dire?
«Pietro Battaglia non sempre lasciava l’aula. Ha partecipato all’approvazione del piano di attuazione per le cave, anche se non avrebbe potuto farlo, perché la delibera era così viziata per conflitto di interessi. Del resto, se si fosse assentato, non ci sarebbe stato il numero legale...».
Ci furono conseguenze? Intervenne il Servizio autonomie locali della Provincia?
«No, assolutamente no».
Ma lei segnalò l’accaduto?
«No, perché ognuno faceva le autodichiarazioni e io non potevo verificare le parentele societarie. Va considerato che l’obbligo di astensione è un fatto amministrativo e la delibera è comunque legittima: solo che è impugnabile»
Nel caso specifico, quindi, nessuna conseguenza?
«Non feci la segnalazione alla Provincia, non ero tenuto a farlo, ma ad altre sedi».
All’Anac, all’anticorruzione?
«Sì, e non solo all’Anac».
Come se ne esce? Cosa si dovrebbe fare?
«Il lavoro che ho fatto in questi anni lo considero uno studio sulla “mafia bianca”».
Vale a dire?
«Riguarda tutti gli aspetti e le situazioni amministrative che hanno caratteristiche di omertà, collusione, ritorsioni, minacce e intrecci societari che non rispondono ai canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione».
Ripeto la domanda: come se ne esce?
«Si deve riconoscere che il Trentino ha strutture amministrative che sono strutturalmente permeabili a episodi di corruzione interna, non in senso penale ma amministrativo. Un terreno permeabile anche alle infiltrazioni della criminalità organizzata».
Bisogna togliere l’autonomia della gestione delle cave ai Comuni?
«Assolutamente, sì. C’è un recente disegno di legge che propone che la Provincia gestisca direttamente le concessioni e le gare per le sostanze minerarie di prima categoria, come le acque minerali, per poi riversare i canoni sui Comuni. Questa impostazione dovrebbe essere fotocopiata per le cave, e la Provincia prendersi anche la titolarità delle concessioni per l’attività estrattiva».

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