Orsi del Trentino, parla Andrea Mustoni «Non sono contrario al contenimento ma il problema è politico, non biologico»

di Elena Nicolussi Giacomaz

Tutto ha avuto inizio tra il 1999 e il 2002, con quella che gli esperti definiscono «una pietra miliare»: il rilascio dei primi 10 esemplari di orso bruno in Trentino all’interno del progetto Life Ursus, allora finanziato dalla Comunità Europea. Nel 2012 i plantigradi avevano raggiunto quota 29, nel 2015 erano 41, 51 nel 2018 e 66 nel 2019. Fino a raggiungere il centinaio di esemplari odierni, dislocati quasi interamente nel Trentino occidentale.

Ma qual è lo stato attuale del progetto? Quali le prospettive future? A rispondere a questi e altri possibili scenari è Andrea Mustoni: zoologo, responsabile dell’unità Ricerca scientifica ed educazione ambientale del Parco Adamello Brenta e, dal ‘97 al 2004, coordinatore di Life Ursus. In pratica, una delle voci più autorevoli per quanto concerne i plantigradi in provincia.

«La valutazione del progetto - dice - è senza ombra di dubbio buona. Dal 26 maggio ‘99, data del primo rilascio, le cose sono cambiate in modo significativo. L’intenzione era salvare la popolazione degli orsi bruni nelle Alpi. E così, ad oggi, è stato».

Nella percezione comune l’arrivo dei primi orsi nel ‘99 è stato uno spartiacque che ha segnato un prima e un dopo.
«Dal punto di vista strettamente biologico, il progetto ha avuto un indiscutibile successo, evitando la definitiva perdita della specie. Se poniamo l’attenzione sul rapporto uomo-orso il discorso si complica. Prima del progetto l’opinione pubblica era favorevole al suo reinserimento, poi le cose sono progressivamente cambiate. Aprendo una serie di interrogativi sulle possibilità di convivenza con questa specie e la sua tutela.

Le ultime stime parlano di 100 esemplari, con un tasso di crescita annuo del 12%. Si aspettava questi numeri?

Questi dati sono compatibili con le previsioni iniziali del progetto. Bisogna peraltro considerare la distinzione tra numero di elementi che compongono una popolazione animale e la complessità genetica che li caratterizza. In Trentino la popolazione di orsi, oggettivamente sopra la soglia del rischio di estinzione, è figlia solamente dei 2 maschi fondatori rilasciati tra il ‘99 e il 2002, da cui ne deriva una variabilità genetica scarsa e preoccupante. In questi casi, gli studi di dinamica di popolazione ci confermano che basterebbe una perturbazione esterna, come una malattia a cui i singoli animali non riescono a fare fronte, a ridurre drasticamente la consistenza della popolazione.
Potrebbe accadere nel giro di pochi anni? Potrebbe. In Trentino orientale è già successo con una consistente popolazione di stambecchi. L’assetto genetico della popolazione di orsi deve essere considerato come uno dei fattori di rischio principale per la popolazione frutto del Progetto di reintroduzione iniziato nel ‘99.

Da zoologo, quali i consigli per la convivenza uomo-orso?

Dobbiamo imparare a conoscere gli orsi. La comunicazione è importantissima perché la gente ha il diritto di sapere cosa accade e, in un certo senso, il dovere di informarsi. Inoltre è importante avere un grande rispetto di ogni singolo esemplare, riconosciuto come un’entità che vive, sensibile, e ricca di gioie e dolori. Ma ancora prima dovremmo occuparci delle esigenze della popolazione presente che ha la necessità di essere accettata. È quindi necessario limitare la presenza di orsi problematici in grado di rovinare essi stessi il buon nome degli orsi, in termini poco scientifici potremmo dire la reputazione di tanti orsi tranquilli. Dobbiamo intervenire per ridurne i danni con opere di prevenzione e dissuasione; e, in casi estremi, abbiamo il dovere di intervenire con la cattura e l’abbattimento. La sottrazione di un esemplare facilita in realtà la conservazione della specie. Tutto questo ovviamente senza dimenticare le esigenze dell’uomo, degli allevatori, degli apicultori e di tutte le persone che a vario titolo vivono di montagna e in montagna.


Cattura o abbattimento, un altro spartiacque.
Per la popolazione a vita libera non cambia nulla tra cattura o abbattimento. Va peraltro considerato che gli strumenti programmatori vigenti, ed in particolare il Piano Faunistico Provinciale, prevedono anche queste misure. Decidere che cosa è meglio per un orso tra l’abbattimento e la detenzione a vita in un recinto è poi una questione più attinente alla sfera etico-morale.

E lo spostamento di alcuni esemplari?

Non è fattibile nel nostro piccolo contesto territoriale. Gli orsi, come altri grandi mammiferi, hanno l’abitudine di tornare sul luogo abituale di vita, a meno che non siano portati a distanze significative. Un’opzione che sulle Alpi sarebbe difficile dal punto di vista pratico e amministrativo.

Crede sia possibile ridurre il numero di orsi portandoli da 100 a 60 come in molti chiedono?

A livello personale non sono più chiuso all’idea di un numero massimo di orsi sostenible dal nostro territorio. Dovremmo individuare la soglia e soprattutto i criteri utili per non superarne il limite. Una sfida gestionale di difficile approccio. Sotto più punti di vista: tecnico, etico, operativo, morale.

In quali casi un orso attacca un uomo?

L’unico orso pericoloso per l’uomo è l’orso spaventato. Questo avviene ad esempio in casi in cui le femmine temono per l’incolumità dei cuccioli. Molto spesso nelle aggressioni c’è la presenza di un cane che sovraeccita l’orso. Altri casi problematici si possono verificare quando l’orso interpreta la possibilità che gli si voglia sottrarre il cibo, magari mentre rovista nei cassonetti; oppure quando l’animale si sorprende all’improvviso per l’incontro con l’uomo.

Di aggressività hanno dato prova anche gli uomini. Sono note le cronache di inseguimenti in macchina, di persone che cercano a tutti i costi un contatto ravvicinato con lupi e orsi.
Gli animali selvatici, così come la natura, vanno rispettati. Cercare di interagire con un orso non è cosa saggia: sono più grandi e più forti di noi. Ma anche in casi più soft, come quando si scorge in lontananza o si trovano le impronte, è bene allontanarsi. Ho dedicato la vita agli animali selvatici e li amo oltremodo, ma sono convinto di questo: tra noi e la fauna deve esserci una barriera che limita le interazioni.

Che atteggiamento bisogna tenere nel caso di un incontro?
Non dobbiamo spaventarlo. Avvertiamolo a distanza della nostra presenza, cerchiamo di non guardarlo negli occhi, facciamoci piccoli, abbassandoci e allontanandoci piano per fargli capire che non lo vogliamo sfidare.

Come dovrebbero essere gestiti i grandi carnivori?
Contrariamente a quello che molti pensano, sono dell’idea che sia corretto che la politica si occupi della presenza dei grandi carnivori, riconosciuti come elementi di interesse sociale. I politici si dovrebbero appoggiare a tecnici preparati e di indiscutibile curriculum, evitando le scelte dettate dalla piazza o dall’emotività, privilegiando la correttezza operativa. Trovo sia un dovere civico. Più nel concreto, allo stato attuale dovremmo essere più presenti nella comunicazione, perseguendo il costante tentativo di informare le persone, ricordando che è normale avere paura di quello che non si conosce. Per questo dovremmo imparare a conoscere l’orso nella sua essenza.

Guardando al futuro, come vede Life Ursus?

Voglio essere abbastanza ottimista, ma la sopravvivenza dell’orso sulle Alpi centrali è legata anche all’habitat politico, non solo biologico. La natura offre ancora vasti spazi per la sua presenza ma dobbiamo trovare un equilibrio: educare la popolazione di orsi e lavorare sull’accettazione da parte dell’uomo. Del resto tutto è collegato: noi, le volpi, i virus, i pipistrelli. Anche l’orso stesso rientra in una natura più grande di noi e di lui: è necessario tornare a una visione più ecosistemica al fine di vivere meglio e tutelare la natura.

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