Il filetto di manzo nasce in laboratorio Al Cibio di Povo decolla «Bruno Cell» per la produzione di carne coltivata

di Domenico Sartori

Se gli si chiede «ma quand’è che potrò assaggiare la scottona o un filetto di manzo prodotto nel vostro laboratorio?», il professor Stefano Augusto Maria Biressi risponde con un sorriso: «Troppo presto, ci vorranno anni. Ma questo è il futuro, ne siamo convinti».

Nei laboratori del Cibio, collina di Povo, Biressi, assieme al collega Luciano Conti, opera sul difficile crinale della innovazione in campo alimentare. Non sono gli unici a farlo, perché dall’Olanda (dove hanno prodotto il primo hamburger artificiale qualche anno fa), agli Stati Uniti, da Israele al Giappone (vedi scheda a fianco, ndr) è tutto un fiorire di investimenti in ricerca, per arrivare alla produzione su larga scala di carne coltivata, o “artificiale”, o “in vitro”.

Il protagonista nostrano è Bruno Cell, una startup che ha trovato 100 mila euro di finanziamento da parte di un imprenditore romano e il supporto di Hit (Hub innovazione Trentino) nella definizione di una strategia di sviluppo. Ed è la prima, in Italia, ad occuparsi della “carne da laboratorio”.

Professor Biressi, di cosa si occupa al Cibio?

«Sono a Trento da oltre cinque anni, dopo avere lavorato all’Università di Standford, in California, sono arrivato qui grazie al progetto di rientro di cervelli in fuga finanziato da Telethon e dalla Provincia. Mi occupo, come biologo molecolare, di studi sullo sviluppo embrionale e la rigenerazione muscolare con le cellule staminali, per comprendere, ad esempio, i meccanismi delle disfunzioni in condizioni come l’invecchiamento o la distrofia muscolare. Mi occupo soprattutto delle cellule staminali adulte, il collega Conti delle staminali più simili a quelle dell’embrione, dotate cioè di pluripontenza».

Perché vi siete messi a studiare la carne coltivata?

«È un argomento molto interessante, che ha grandissimi risvolti etici. Non mi riferisco solo alla salvaguardia della vita degli animali, agli allevamenti intensivi, alla macellazione, ma anche al potenziale di cambiamento».

A cosa si riferisce?

«All’apporto proteico a favore di fasce di popolazione che oggi, per motivi economici, cioè impoverite, o per motivi religiosi, sono costrette a rinunciare alle proteine della carne. E, in più, ci sono i vantaggi ambientali: è dimostrato che l’allevamento intensivo, con la produzione di metano, dà un forte contributo all’effetto serra, quindi al cambiamento climatico. Poi, il problema del consumo di acqua...».

Qual è l’obiettivo di Bruno Cell?

«Riuscire a creare una produzione industriale di carne coltivata, e di farlo a basso prezzo. Proprio il primo hamburger prodotto in laboratorio, in Olanda, che costerebbe migliaia di euro, ha dimostrato che è un aspetto determinante. Altra questione rilevante: oggi, sotto sperimentazione, ci sono molti progetti che prevedono la produzione di cellule per ottenere la carne, utilizzando fattori proteici di derivazione animale. Ma è una contraddizione uccidere animali per ottenere la materia prima!».

E, invece, il vostro progetto?

«Abbassare i costi di produzione non utilizzando questi fattori di crescita, né proteine prodotte in laboratorio, che costano tantissimo, ma con un cocktail di molecole di tipo chimico, molecole di sintesi chimica semplici che favoriscano la riproduzione ed espansione delle cellule».

Ci fa capire come funziona?

«Le cellule animali pluripotenti vengono indotte a a partire da cellule di sangue bovino, ottenuto con un prelievo. L’obiettivo è farle crescere in fermentazione, in scala di laboratorio, poi, in scale-up, utilizzando fermentatori, come si fa con la birra, per la produzione industriale».

A che punto siete?

«Un imprenditore romano dell’agroalimentare ha deciso di diversificare il business e ha investito 100 mila euro in Bruno Cell, con cui abbiamo aperto un bando internazionale, che si chiuderà il 25 agosto, per un dottorato triennale di innovazione industriale al Cibio. Contiamo di arrivare ad un risultato tangibile in due anni e ad un brevetto nel terzo».

Se, fabbrica di carne coltivata verrà, sarà insediata a Trento?

«Compete all’imprenditore la scelta, ma direi proprio di sì. Noi lavoriamo qui, Hit ci ha sostenuti, Trentino Sviluppo ha spazi a disposizione...».

Mi chiedo che gusto avrà il filetto di carne coltivata...

«È una delle criticità, assieme al prezzo e ai nutrienti delle cellule, che vogliamo affrontare. Il gusto e gli aspetti nutrizionali sono fondamentali. Fino ad ora si sono usate cellule muscolari, ma la carne è un organismo complesso fatto di vasi, tessuto adiposo, altri tipi di cellule: non è solo fibra muscolare».

Sotto, nella foto da sinistra Luciano Conti e Stefano Augusto Maria Biressi

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