Alfio Ghezzi: «Nuove idee per questi tempi difficili»

Alfio Ghezzi è il fuoriclasse della cucina trentina. Ecco come immagina il futuro della ristorazione

di Giorgio Lacchin

Non sarà più come prima.

«Sarà tutto diverso».

Anche per un grande chef come lei, Ghezzi.

«L’emergenza è pesante ma può essere un’opportunità».

Per chi è sveglio.

«Sempre, nella vita, quando usciamo dal nostro spazio sicuro - per qualsiasi motivo - la nostra testa comincia a lavorare in maniera diversa e sviluppa idee nuove. Ed è bene che succeda anche al cuoco e al ristoratore».

Alfio Ghezzi è il fuoriclasse della cucina trentina, ha 49 anni ed è cresciuto alla scuola del mitico Gualtiero Marchesi. Per 9 anni è stato il re di Locanda Margon a Trento ma nel giugno scorso l’ha lasciata per trasferirsi a Rovereto, al Mart, il museo di arte moderna e contemporanea. In quello spazio rinnovato, autentica appendice del museo in virtù dell’accuratissimo design, ha creato il “suo” ristorante serale e un bistrot, e ora, da una costola dei due locali, stanno per nascere nuove iniziative modellate sui tempi difficili che stiamo vivendo.

Ghezzi, le sue idee sono lo “Chef a casa tua” e il servizio di asporto - appena le norme lo permetteranno - e il più classico delivery.

«Il delivery già da sabato 25 aprile, ogni sabato e domenica. Noi consegniamo, voi scaldate e impiattate».

Una domanda cattiva: non crede di sminuire il suo lavoro?

«E perché mai?».

Lei è uno chef “stellato”.

«Non è del tutto corretto».

Okay: lei ha fatto conquistare due stelle Michelin alla Locanda Margon.

«Ora ci siamo».

Gliela rifacciamo: non crede di sminuire il suo lavoro andando a cucinare a casa dei clienti o portando loro i suoi piatti?

«È un errore pensare in questo modo».

Naturale che lei lo pensi.

«Esistono due tipi di cucina: la buona cucina e quella cattiva. La buona cucina è realizzata attraverso la cura per gli ingredienti, il rispetto del territorio e della stagionalità, la relazione con i produttori in modo che si crei un’economia circolare e una ricaduta sul territorio. E poi il cuoco deve trasformare questi prodotti, valorizzandoli. Ma senza lavorarli troppo».

Poi c’è la cattiva cucina...

«...che fa uso di prodotti scadenti. Che omologa. E non considera quanto possa essere dannoso il percorso di un prodotto che parta dall’altra parte del mondo».

Capito, ma non ha risposto alla domanda.

«Se un cuoco rimane nell’alveo della buona cucina è sempre soddisfatto: che abbia a disposizione una cucina normale o professionale, o prepari qualcosa per un picnic».

Adesso è chiaro.

«La situazione che stiamo vivendo non è temporanea».

Dunque il suo settore va ripensato.

«L’obiettivo è la cucina sostenibile. Dobbiamo recuperare la relazione uomo-natura: lì ritroviamo il buonsenso dei nostri avi. Noi siamo nati in montagna e abbiamo toccato con mano queste cose. Tutti avevano il campo, l’orto e non abbandonavano la valle».

La cucina era legata allo spazio circostante.

«Al microclima».

Alla ristorazione serve un... ritorno al futuro.

«La società è progredita, certo, ma l’uomo ha provocato una frattura troppo grossa tra sé e il mondo naturale. E le sue azioni stanno mostrando tutti i loro limiti».

Proprio ora. In questo momento storico.

«Eh già. Ma torniamo all’inizio. Il cuoco, da una parte, vede la crisi come un pericolo e deve agire con tutta la prudenza che il caso richiede: prima cosa, io devo tutelare la salute dei dipendenti; seconda cosa, non voglio licenziare nessuno. E poi ci sono gli ospiti: quando entrano nel mio locale devono avere la garanzia che ci prenderemo cura della loro salute. Dall’altra parte il cuoco dev’essere audace, pensare cose nuove. Pensi alle infinite opportunità che il delivery ci mostrerà!, oppure lo smart working! Opportunità mai considerate prima».

Il cuoco e il ristoratore stanno cercando di capire come possono essere vicini all’ospite pur rimanendo lontano.

«Ora partiamo con questa attività e abbiamo già delle idee per l’estate».

Tipo?

«Un picnic nel prato delle sculture del Mart».

Non sembra male.

«Le norme dicono che i nuclei familiari possono restare uniti, ovviamente, dunque forniremo loro una coperta e un cesto con le cose che vorranno mangiare».

Ha già presentato la proposta ai dirigenti del museo?

«Non ancora, ma li avevo avvisati che avrei portato nuove idee. E così metteremo assieme l’accoglienza in un luogo puro (un prato che guarda le montagne, in un museo) con lo stare insieme (una famiglia che fa un picnic) e il distanziamento sociale (tra nuclei familiari)».

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