Una app sul telefonino per controllare i movimenti degli italiani dopo l'emergenza

L’app sul “contact tracing” italiana sarà «un pilastro importante nella gestione della fase successiva dell’emergenza», la sperimentazione sarà in alcune regioni pilota, poi verrà estesa. È Domenico Arcuri, Commissario per l’emergenza, a delineare uno scenario più chiaro per il sistema di tracciamento italiano del contagio del coronavirus a cui stanno lavorando il ministero dell’Innovazione e la Presidenza del Consiglio. Mentre oggi l’Europa ha dettato le regole per l’app: anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà. Criteri che vedono il plauso del Garante della Privacy Antonello Soro.

«Speriamo in una massiccia adesione volontaria dei cittadini», ha sottolineato Arcuri, «speriamo possano sopportare e supportare il sistema di tracciamento dei contatti, che ci servirà a capitalizzare l’esperienza della fase precedente ed evitare che il contagio si possa replicare».

«I Paesi Ue stanno convergendo verso un approccio comune» con «soluzioni che minimizzano il trattamento dei dati personali», scrive intanto l’Europa nel documento stilato oggi in collaborazione con i governi. Oltre ai requisiti di volontarietà e interoperabilità tra Stati, già ribaditi, l’Ue si sofferma in particolare sulla tecnologia giudicata più idonea per le app di tracciamento. Devono «stimare con sufficiente precisione» (circa 1 metro) «la vicinanza» tra le persone per rendere efficace l’avvertimento se si è venuti in contatto con una persona positiva al Covid-19; per questo, dice, possono essere utilizzati «il Bluetooth o altre tecniche efficaci», evitando la geolocalizzazione. «I dati sulla posizione dei cittadini non sono necessari né consigliati ai fini del tracciamento del contagio» sottolinea Bruxelles, precisando che l’obiettivo delle app «non è seguire i movimenti delle persone o far rispettare le regole» perché questo «creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy». Per mantenere l’anonimato, è previsto che le app utilizzino un ID (codice d’identificazione utente, ndr) «anonimo e temporaneo che consenta di stabilire un contatto con gli altri utenti nelle vicinanze».

In Europa esiste già un progetto che soddisfa questi criteri, su cui stanno convergendo Francia e Germania. Si chiama Pepp-Pt (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) è stato messa in piedi da un gruppo di 130 scienziati e 32 fra aziende e istituti di ricerca di 8 Paesi (tra cui la Fondazione ISI di Torino).

Tra i partner del progetto c’è Vodafone (di cui Vittorio Colao è stato a lungo amministratore delegato) e anche Bending Spoons, la software house con cui collabora Luca Foresti del Centro Diagnostico Santagostino. Queste due ultime realtà, insieme a Jakala, hanno progettato un’app che, secondo indiscrezioni, sarebbe in cima alla lista del ministero dell’Innovazione che ha esaminato oltre 300 progetti e pochi giorni fa ha consegnato al premier Conte una relazione. Ora spetta al governo nella sua collegialità e alla task force di Colao prendere una decisione su contenuti e tempi dell’app di tracciamento. Con la prospettiva, delineata da Arcuri, di una sperimentazione nella fase successiva all’emergenza prima in alcune regioni pilota.

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