Santa Chiara, polemica su 14 sanitari in quarantena Allarme dei sindacati: «Qualcosa non ha funzionato» L'Azienda replica: «Al contrario, gestione impeccabile»

di Franco Gottardi

«La prima paziente infettata da coronavirus ha fatto strike in ospedale mandando 14 persone a casa in quarantena e questo è molto preoccupante perché se va avanti così va a finire che bisogna chiudere il Santa Chiara». Paolo Panebianco, segretario della Fenalt per il settore infermieristico e sanitario, è sconcertato per quanto successo lunedì sera in ospedale, con la signora 83enne febbricitante prelevata a casa da un’ambulanza e dopo l’arrivo in ospedale spedita in geriatria per poi essere portata nel reparto infettivi, dopo che il tampone aveva dato esito positivo al coronavirus.

La sua permanenza tra reparto e pronto soccorso a contatto con gli operatori ha costretto l’Azienda sanitaria ha mandare a casa in quarantena volontaria per due settimane ben otto infermieri, una dottoressa e cinque oss. «È evidente che qualcosa non ha funzionato - sbotta Panebianco - perché la scorsa settimana nell’incontro con il direttore generale alla nostra richiesta di avere indicazioni chiare e precise ci avevano assicurato che i piani di emergenza c’erano ed erano efficaci. Invece in un colpo solo si è dovuto trovare personale per sostituire le assenze forzate andando a penalizzare altri settori».

Una lettura dei fatti che il direttore sanitario Pierpaolo Benetollo respinge con forza: «Al contrario - ribatte - la gestione di questo caso ha dimostrato quanto hanno funzionato bene i protocolli perché nonostante la signora non fosse stata in aree a rischio o avuto apparentemente contatti con persone infette solo per il fatto che avesse i sintomi di una polmonite interstiziale le è stato fatto il tampone permettendo di individuare il virus a distanza di appena 18 ore».

Una procedura - spiega Benetollo - che altri ospedali italiani non seguono e che in alcuni casi ha provocato la diffusione del Covid-19. «Il personale venuto a contatto è stato mandato a casa per precauzione, ma non si rischia alcun blocco e quel che dice la Fenalt è offensivo» conclude il direttore.

Esprimono preoccupazione, pur ribadendo la disponibilità a mettersi a disposizione dell’Azienda sanitaria in un contesto difficile, anche Luigi Diaspro della Cgil e Beppe Pallanch della Cisl funzione pubblica. «Operatori sanitari, profili tecnici e amministrativi impegnati in prima linea - scrivono in una nota congiunta - rischiano di andare in affanno per l’evoluzione dei contagi e hanno bisogno della massima attenzione e supporto. In particolare occorrono misure anche di carattere prudenziale e organizzativo perché il sistema possa reggere i maggiori carichi».

I sindacati si mettono a disposizione per un confronto costante. «Siamo consapevoli delle dimensioni di questo fenomeno a livello nazionale - proseguono Fp Cgil e Cisl Fp - ma chiediamo che vengano aggiornati i documenti di valutazione dei rischi, oltre all’attivazione di tutte quelle iniziative necessarie come l’adozione di procedure straordinarie. Bisogna sviluppare iniziative rivolte alla formazione e informazione del personale per creare le condizioni per gestire correttamente ogni eventuale situazione con l’obiettivo di limitare la trasmissione e il contagio anche tra gli stessi operatori».

Diaspro e Pallanch sottolineano anche la necessità di implementare la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale e soprattutto di prevedere – nel malaugurato caso di allargamento del contagio sul territorio - una maggiore integrazione tra le strutture pubbliche e quelle private convenzionate per garantire una migliore presa in carico dei pazienti più fragili che necessitano di un’assistenza continua domiciliare e ospedaliera.
Le parti sociali, ringraziando per il loro impegno tutti i dipendenti impegnati in prima fila, chiedono si cerchi di evitare turni stremanti di lavoro.

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