La ’ndrangheta investe anche in Trentino

di Sergio Damiani

La ’ndrangheta investe in Trentino, o almeno ci prova in tutti i modi, anche cercando appoggi nella politica. Ora non è più un potenziale pericolo da monitorare, ma una presenza da contrastare. La conferma è ufficiale, viene dalla Procura nazionale antimafia che nell’ultima relazione annuale riferisce di ripetuti tentativi da parte di organizzazioni criminali di matrice ’ndranghetista di insediarsi in Trentino.

«È stato, invero, accertato - scrivono i magistrati della Dna - un tentativo di infiltrazione criminale di matrice ‘ndranghetista, tendente a radicarsi in Trentino Alto Adige attraverso una metodologia di contaminazione economico-sociale e amministrativo-istituzionale silente, che, al tradizionale uso della forza nel controllo del territorio, preferisce progetti e finalità apparentemente leciti». E ancora: «In particolare sono stati acclarati diversi tentativi di acquisizione di attività imprenditoriali locali, posti in essere anche grazie ad una rete di relazioni con gli ambienti istituzionali e politici che anche in Trentino comincia ad essere preoccupante». Dunque la ’ndrangheta punta ad infiltrarsi in un territorio libero dalla grande criminalità di stampo mafioso con il denaro da riciclare, ma anche coltivando amicizie in ambienti istituzionali e politici. Siamo dunque ben oltre qualche estemporaneo tentativo di investimento.  

Secondo la Dna le indagini svolte dalle procure dei distretti del centro-nord Italia confermano ancora una volta la piena operatività, in praticamente tutte le regioni di quel territorio, della ’ndrangheta, «che continua ad essere da anni l’organizzazione mafiosa capace, più delle altre, di ingerirsi e radicarsi in aree diverse da quelle di origine, seppur con forme e modalità diverse».

In particolare la ’ndrangheta al nord è riuscita a replicare, in territori diversi da quelli di origine, le medesime caratteristiche che connotano l’organizzazione mafiosa in Calabria: da quelle organizzative, con la costituzione delle “locali”, la ripartizione in “società maggiore” e “società minore”, il conferimento di cariche e doti; a quelle operative, con il controllo delle attività economiche, le infiltrazioni nel contesto politico-amministrativo e l’utilizzo, più o meno ostentato, del metodo intimidatorio; a quelle rituali, con le forme di affiliazione e di promozione; nonché a quelle procedurali, con la rigorosa disciplina dei criteri e dei metodi per sanzionare la violazione delle regole.
«Il Trentino, il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la Toscana, l’Abruzzo e l’Umbria - scrive la Dna nell’ultima relazione annuale - possono continuare a ritenersi regioni nelle quali l’organizzazione tende, soprattutto, a reinvestire i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, in tutti i settori economici, quelli immobiliare ed edilizio in primis».

Ma torniamo al Trentino: «Le attività investigative della Procura distrettuale di Trento - si legge nella relazione - benché non siano stati, sinora, acquisiti elementi significativi di una stabile presenza, sul territorio, della ’ndrangheta o di altre organizzazioni di stampo mafioso - hanno avuto l’obiettivo di attenzionare in modo più incisivo le infiltrazioni nel tessuto economico trentino ed altoatesino, il tutto con esiti interessanti».

Le indagini da parte della Procura distrettuale di Trento sono avviate. Da quando si è insediato il procuratore della Repubblica Sandro Raimondi in più di un’occasione ha detto di non credere all’immagine del Trentino isola felice, impermeabile alle infiltrazioni. I prossimi mesi ci diranno se gli investigatori riusciranno a fare il balzo più difficile: passare dalle parole ai fatti, dalle analisi ai procedimenti penali.

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