E' rimasto sotto la valanga 50 minuti il racconto di Giovannini: «Cercavo di stare calmo ma certo che sono stato miracolato»

di Flavia Pedrini

 La valanga l’ha vista con la coda dell’occhio, mentre si staccava. Fulvio Giovannini ha cercato di scappare, ma il lastrone è partito proprio sotto i suoi sci. Per un po’ il noto alpinista di Zambana ha galleggiato sulla neve, poi ha iniziato a rotolare ed è finito sotto.
Il resto è il racconto di una disavventura finita miracolosamente bene.  
Un esito per nulla scontato, se si pensa che per cinquanta minuti, il 53enne, sabato pomeriggio, è rimasto completamente sepolto sotto la neve, dopo essere stato travolto da una slavina, mentre faceva scialpinismo in val D’Ultimo, nei pressi della cima Orecchia di Lepre. La lunga esperienza e un incredibile sangue freddo l’hanno aiutato a mantenere i nervi saldi: «Morire? No, non ci ho pensato - dice - Ho pensato che respiravo e che mi avrebbero tirato fuori».
I due amici che erano insieme a lui se la sono cavata con uno spavento: uno è stato solo “sfiorato”, l’altro è stato travolto, ma è riuscito a liberarsi dalla neve.
Giovannini, portato in elicottero all’ospedale di Merano con un principio di ipotermia, ci è rimasto giusto il tempo dei controlli. Sabato sera era già a casa.
Giovannini, intanto come sta?
«Sto bene, sto bene. Sento solo un po’ le botte oggi (ieri ndr)».
L’ultima volta è stato protagonista delle cronache per il suo viaggio in Alaska, insieme a Maurizio Belli. Ha fatto spedizioni e viaggi fuori dall’Europa, ma stavolta la pelle l’ha rischiata vicino a casa.
«È sempre così, purtroppo quando si va tante volte, aumentano anche le probabilità che possa accadere qualcosa».
E lo scialpinismo lei lo pratica da una vita.
«Saranno trent’anni, ricordo che le prime volte l’Arva nemmeno c’era».
Lei si è accorto subito della slavina?
«Sì, la valanga l’ho vista con la coda dell’occhio, mentre si staccava. Noi (Giovannini era con due compagni ndr) eravamo a 5-10 metri. E da lì la decisione di scappare. Ma era una valgana a lastroni. Appena si è staccata, lo ha fatto anche nel punto in cui mi trovavo io. Io galleggiavo, ma poi ho iniziato a rotolare, finendo sotto. Finché non mi sono fermato».
Il suo corpo era coperto dalla neve.
«Sì, io non riuscivo a muovermi, ero completamente bloccato. Riuscivo a muovere appena la testa, per farmi un po’ di spazio, avere un buco d’aria, per stare tranquillo a respirare. Poi sono rimasto immobile, finché non ho sentito gli elicotteri. Allora mi sono detto: “Per fortuna i miei amici sono salvi e hanno dato l’allarme”».
Lei è rimasto cinquanta minuti sotto la valanga. Un tempo lunghissimo.
«In realtà quando mi hanno tirato fuori, ho detto ai soccorritori che immaginavo di essere lì da quindici. Invece mi hanno detto che erano cinquanta minuti».
Mentre era sotto mezzo metro di neve, non ha pensato: “Stavolta non me la cavo”?  
«Ho cercato di rimanere calmo, di respirare. Avevo neve anche sulla testa, vedevo un bagliore, perché ero con il viso rivolto a sud e c’era il sole. Ma non ho mai pensato di morire, non ho pensato: stavolta è arrivato il momento. Anzi, ero preoccupato per i miei compagni. Perché li avevo visti per un attimo, uno travolto e l’altro no. Mentre ero sotto mi dicevo: io sono qui che respiro, prima o poi verranno a prendermi. Ma non sapevo come stessero loro».
L’hanno tirata fuori con un principio di ipotermia.
«Sì, ma per fortuna ero vestito bene, perché sopra c’era tanto vento. Siamo partiti da sopra Santa Gertrude, poi passo di Flim e la Cima di Togo. Stavamo scendendo, in una decina di minuti saremmo arrivati alla malga. Avevamo scelto quella gita proprio perché non c’era neve fresca».
L’hanno dimessa dall’ospedale già sabato.
«Si, illeso. Miracolato».
Ma non ha intenzione di appendere gli sci al chiodo.
«La stagione è appena cominciata (ride), non siamo ancora in inverno. Agli incidenti, anche con il parapendio, ho sempre reagito bene. Ho subito ripreso ad andare».
Pensa già a qualche altra avventura, dopo l’Alaska.
«No, ma a fine mese parto, vado a scalare».

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