Maria Stella e Bianca, infermiere trentine in Siria: "Sentiamo le bombe qui vicino"

Maria Stella Crepaz, figlia dell’ex parlamentare Lucia Fronza Crepaz e del medico fisiata Paolo Crepaz, e la compagna di studi Bianca Biroli, entrambe 23 enne e laureate in scienze infermieristiche, sono in questi mesi ad Aleppo, in Siria. Sono qui, in una delle città più colpite dalla guerra civile, per un anno di impegno civile e umanitario. E anche se lontano sentono le bombe cadere, loro vogliono continuare ad essere testimoni di quella voglia di pace e ricostruzione che accomuna molti siriani. Abbiamo fatto con loro una lunga videochiamata, cercando di capire le motivazioni che le hanno portate lì e soprattutto come stanno vivendo questi giorni “caldi”.

Maria Stella, Chiara, come mai in Siria?

Il movimento dei focolarini ha un progetto che propone alle famiglie di venire 15 giorni in Siria per entrare in contatto con questa realtà. Io, Maria Stella, ci sono venuta con la mia famiglia l’estate scorsa. Con Bianca avevamo programmato di fare un anno di volontariato appena terminati gli studi. Avevamo pensato di andare in Africa, ma dopo l’esperienza in Siria il mio cuore è rimasto là. L’idea era di trovare un popolo distrutto della guerra e invece abbiamo trovato un popolo con tanta grinta e voglia di ricominciare. Un popolo che non molla mai. I siriani non vedono l’ora che si riaprano i confini. È un popolo che sa accogliere e che non va abbandonato.

Cosa fate esattamente ad Aleppo?

Siamo qui da maggio e lavoriamo in un istituto per bambini affetti da sordità durante la settimana e poi due giorni in una specie di casa di riposo gestita dalle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta. Si tratta di un posto dove ci sono soprattutto anziani, ma anche anche per famiglie in difficoltà per i problemi legati alla guerra e che vivono lì per un paio di anni. Il centro per la sordità è nato nel 2005 per volontà di una mamma che aveva un bambino con questi problemi. All’inizio c’era solo una stanza con poche cose. Oggi è un centro per l’educazione e l’istruzione che ospita più di 90 bambini. Noi aiutiamo il figlio della fondatrice, che è diventato audiometrista, a fare questi esami.

E dove vivete quando non lavorate?

Viviamo in una scuola, da delle suore che ospitano 12 studentesse. Tra queste ci siamo anche noi

Le notizie che arrivano dalla Siria non sono buone. Avete paura, come vi sentite?

Noi ci sentiamo al sicuro, dal primo giorno che siamo arrivate ci sentiamo come in una famiglia. I bombardamenti li sentiamo da lontano, ma dal punto di vista della sicurezza non abbiamo mai avuto incertezze anche perché qui tutti giustamente vogliono credere che la guerra sia finita. L’aria che si respira è di un paese che vuole ricominciare.

Dalle ultime notizie, però, la pace sembra lontana.

Qui la gente non ne parla tanto, tutto rimane lontano. Si è consapevoli che la guerra c’è, ma non si può e non si vuole fermarsi.

Quindi non avete nessuna intenzione di tornare in Italia in anticipo.

Proprio no. Abbiamo un biglietto per l’Italia datato 15 aprile.

Da quello che potete vedere, quali sono i bisogni della popolazione siriana?

Quando sono venuta la prima volta (dice Maria Stella) la guerra era finita da molto meno tempo e avevo avuto l’impressione che ci fosse solo desiderio che il conflitto finisse. Ora è chiaro che c’è bisogno di risorse per ricominciare e ricostruire. Abbiamo ascoltato tante storie di persone che stanno perdendo la speranza. La gente ha bisogno di trovare i mezzi per ricominciare davvero.

I bisogni primari vengono soddisfatti?

Il cibo c’è, non è un problema, c’è sempre stato anche durante la guerra. Certo l’embargo si sente, ma i siriani sono orgogliosi del fatto che sono riusciti a supplire al divieto di importare certi prodotti con cose «made in Siria». Rimane un problema: quello dell’elettricità che ancora oggi salta più volte al giorno e rimane interrotta anche per ore. Suppliscono i generatori.

Vi siete mai sentite in pericolo in questi mesi?

Un giorno che è caduta una bomba in un quartiere molto vicino al nostro, qui ad Aleppo, ma non abbiamo mai avvertito tanto timore da far nascere in noi il desiderio di rientrare. Certo, quando usciamo solitamente lo facciamo con altre persone e comunque mai di notte. Ma questo anche per una questione di differenze culturali.

Cosa avete in programma nei prossimi mesi?

Oltre a quanto stiamo facendo vorremmo cominciare un altro progetto. Qui ci sono tante persone che vorrebbero imparare l’italiano e ci stiamo mettendo d’accordo con un’associazione francese che ha come obiettivo di fare in modo che i cristiani possano rimanere a casa loro. Poi c’è un progetto legato alla scuola che punta a creare iniziative che possano mettere in contatto i bambini del centro con l’esterno.

Che sentimenti avvertite nei vostri confronti: di diffidenza o di apertura?

Dipende. Noi stiamo vivendo a più stretto a contatto con i cristiani e quindi è più facile. In realtà a primo impatto c’è grande apertura e disponibile da parte di tutti, anche quando comprendono che siamo europee. È quando si approfondiscono alcuni temi che emergono forti diversità.

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