Un trentino su 10 è povero Più a rischio le persone sole

di Francesco Terreri

Nel 2018 in Trentino gli individui in condizioni di povertà relativa sono il 9,6% della popolazione. Il dato è in calo rispetto al 2017, dove si era raggiunto il picco del 12,8% di persone povere. Ed è più basso della media nazionale, pari al 15%, anch’essa in diminuzione. È però più elevato di grandi regioni del Nord come la Lombardia (8,6%) e l’Emilia Romagna (6,8%). Per non parlare di Bolzano dove risulta povero appena il 2,7% della popolazione. Se si considerano le famiglie, invece, da noi è povero l’8% dei nuclei familiari, in aumento sul 7,8% dell’anno prima. Il dato nazionale è l’11,8%, meno del 12,3% del 2017.

La discrepanza di andamento rispetto ai dati sui singoli individui indica che in provincia di Trento sono aumentati i nuclei familiari poveri con un solo componente. Poveri, quindi, e soli.

L’indice aggiornato della povertà è stato pubblicato dall’Istat. Povertà relativa vuol dire che non stiamo parlando di persone e famiglie in condizioni di bisogno assoluto, ma in condizioni di disagio economico e sociale rispetto a gran parte della popolazione.

Secondo l’Istituto di statistica, è povero in termini relativi un nucleo familiare di una persona che spende, tutto compreso dalla casa ai consumi, fino a 657,05 euro al mese, una famiglia di due componenti che spende non più di 1.095,09 euro mensili, una famiglia di tre persone che spende al massimo 1.456,47 euro al mese, un nucleo di quattro componenti con una spesa sotto i 1.785 euro al mese, un nucleo familiare di cinque persone che spende al massimo 2.080,67 euro al mese, una famiglia di sei persone con una spesa mensile di 2.365,39 euro, una di sette con una spesa di 2.628,22 euro al mese.

Le soglie di povertà relativa quindi indicano famiglie che non possono permettersi se non le spese essenziali. Tra esse ci sono coloro che sono in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito, i nuclei familiari che non possono sostenere una spesa imprevista ad esempio di carattere sanitario, le famiglie che non possono permettersi ferie lontano da casa. E poi i casi di ancora maggiore difficoltà, come racconta la Caritas di Trento: chi perde il lavoro a cinquant’anni, chi cade nella dipendenza da sostanze o dal gioco d’azzardo, l’immigrato che fa lavori precari in attesa del permesso di soggiorno.

Su questo versante, la stretta nazionale e provinciale alle politiche di accoglienza sta portando ad un aumento dei migranti lasciati per strada in condizioni di emarginazione o coinvolti nella criminalità.

Secondo l’ultimo dato del Cinformi, l’ufficio della Provincia che si occupa di stranieri, a metà agosto i richiedenti protezione internazionale in Trentino erano 968, cioè 252 in meno da inizio anno e 500 in meno rispetto a metà 2018. Una parte di essi esce dalle strutture di accoglienza perché ha visto riconosciuto lo status di rifugiato oppure si è inserita al lavoro o è andata altrove. Ma una parte, denunciano le associazioni, è finita in mezzo alla strada.

«I dati sulla povertà in generale cambiano anche in base alle classificazioni statistiche - afferma Vincenzo Passerini, già presidente regionale delle Comunità di accoglienza - La povertà non è solo finire per strada, quindi se diminuiscono i pasti al Punto d’incontro non vuol dire che diminuisce la povertà. Di certo però, come avevamo detto, il decreto sicurezza di Salvini ha messo fuori dal sistema di accoglienza migliaia di immigrati in tutta Italia e centinaia in Trentino. Una parte di essi viene aiutata da altre realtà, ma coloro che non hanno reti finiscono soli per strada».

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