Oltre 300 donne maltrattate all'anno sono seguite dal Centro antiviolenza La maggior parte trentine e benestanti

di Marica Viganò

La violenza è trasversale, figlia della subcultura del possesso, ben insediata nelle fasce alte della società.

E le vittime sono, nella maggior parte dei casi, donne che lavorano, economicamente indipendenti, italiane, trentine.

Al Centro antiviolenza di Trento, in via Dogana, ogni anno vengono seguiti fino a 300 casi di maltrattamento.

«Le donne hanno acquisito nel tempo più coraggio a parlare della loro situazione, tendono ad utilizzare più facilmente lo strumento della denuncia. Ma rimaniamo comunque a numeri molto bassi rispetto al fenomeno - spiega Barbara Bastarelli, responsabile del Centro antiviolenza - Ogni anno si rivolgono a noi circa 260 donne, e per l’85% dei casi si tratta di nuove situazioni».

Al centro viene effettuato un primo colloquio, per comprendere la gravità del caso. Di fronte ad operatrici qualificate (il primo contatto può essere anche solo telefonico) la donna comincia a parlare, a sfogarsi, a descrivere ciò che succede nel chiuso della propria casa, a evidenziare le proprie paure, a raccontare le minacce subite. Viene analizzato il rischio. Se emerge l’urgenza di un allontanamento dalla casa familiare, una soluzione viene presto trovata. «La donna viene collocata immediatamente in una struttura sul territorio.

Nella nostra provincia non è un problema trovare un alloggio in sicurezza per una situazione di emergenza - prosegue Bastarelli - Nei casi non urgenti prospettiamo alla donna una serie di colloqui, affinché possa cominciare a comprendere l’accaduto, a capire ciò che vuole per sé: se una separazione, se c’è necessità di una consulenza legale, se desidera chiedere una misura di allontanamento. Da evidenziare che non tutte le donne decidono di denunciare il partner o l’ex partner violento. Solo una piccola percentuale, che va dal 5 all’8% ed è comunque sempre inferiore al 10%, decide di far perseguire il responsabile delle violenze. D’altra parte è possibile uscire da una situazione di maltrattamenti anche senza presentare denuncia».

Quali sono le alternative al mettere nero su bianco, in questura o dai carabinieri, l’incubo che si sta vivendo? «Non è che denunciando si risolva automaticamente il problema. A volte basta decidere di allontanarsi, di fare una separazione». Ieri è entrata in vigore la legge 69 del 2019, il cosiddetto “Codice rosso” che garantisce indagini più veloci, maggior attenzione e tutela alle vittime, pene più pesanti. Un passo in avanti, dato che vengono introdotti i reati di “revenge porn”, ossia la diffusione illecita di immagini e video hot, e di sfregio al viso. Anche se Bastarelli evidenzia un punto della legge su cui sarà necessaria una riflessione: «In merito all’iter rapido nei casi previsti dal “Codice rosso”, il fatto che la vittima venga udita dal pubblico ministero a poco tempo di distanza dal fatto è, a mio parere, una procedura non sempre a tutela di chi denuncia. La donna potrebbe essere ancora sconvolta, molto impaurita. Non ha avuto ancora il tempo di intraprendere un percorso di consapevolezza. Perché una denuncia bisogna reggerla, un processo bisogna reggerlo. In Trentino rispetto al resto d’Italia siamo già a buon punto come tempi della giustizia: nel giro di un anno una donna che ha presentato denuncia va a dibattimento».

La violenza dove si trova? Qual è la sua origine? «Esiste in tutti gli strati della popolazione. Tra le vittime ci sono donne economicamente autosufficienti perché hanno un lavoro. Ma c’è anche chi, pur percependo uno stipendio, non può gestirlo direttamente - conclude Bastarelli - La violenza è trasversale, è l’idea di comandare in casa. Esiste in tutti i Paesi. L’80% delle donne che si rivolge a noi è italiana, trentina».

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