Anche il sacro sbarca in internet E ci si sposa via Skype

di Alberto Piccioni

Convertirsi all’islam via Skype o sposarsi, ricevere benedizioni o pregare con altri “fedeli virtuali” in un gruppo privato di Facebook: è possibile tramite internet che sta cambiando le regole del vivere religioso, diventando uno “spazio sacramentale”, così come l’ha definito Heidi Campbell, docente alla Texas A&M University, una delle maggiori autorità negli studi su religioni e new-media. Le varie le questioni che emergono e gli scenari possibili sono l’oggetto di un recente lavoro di Alessandra Vitullo, ricercatrice alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, che ha analizzato il fenomeno delle chiese multisito, in una recente pubblicazione sullo «Special Issue Dynamics of Religion, Media, and Communit» dell’Online Heidelberg Journal of Religions on the Internet.

A Vitullo abbiamo domandato cosa significa che internet è diventato uno “spazio sacramentale”.

«Uno spazio virtuale in rete può essere dedicato a pratiche religiose intese come semplice comunicazione religiosa. Ad esempio per alcuni studiosi anche il sito del Vaticano potrebbe avere una funzione sacramentale per il fatto stesso di dare delle comunicazioni di tipo religioso.  In realtà per sacramentale deve essere inteso uno spazio dove avvengono delle ritualità, in qualche modo “sacro”. Non è possibile dunque adattare questa definizione così ampia ad un qualsiasi spazio virtuale ove è presente del religioso».

Quali sono allora gli elementi necessari per parlare di un internet sacramentale?

«Ad esempio un gruppo segreto di Facebook dove le persone si ritrovano, si connettono, per pregare, o  ricevere delle benedizioni. Alcune persone si sono anche sposate on line, tramite Skype. Ci sono inoltre moltissimi casi di conversione on line dal cristianesimo all’islam. Sono tanti gli ex cristiani che contattano iman del mondo arabo tramite la rete. Non si tratta di certo di terrorismo o pratiche illecite: semplici conversioni dove il rituale di conversione all’Islam avviene tramite Skype. In questo tipo di momenti chiaramente internet diventa uno spazio sacramentale. È possibile poi registrare vari episodi di partecipazione all’eucaristia nel mondo cattolico, con persone malate o impossibilitate a muoversi, dove il vettore è lo schermo di un pc o di uno smartphone».

Perché ci sia un sacramento, ovvero la comunicazione di una grazia divina, azione e dono di Dio, per la dottrina cattolica, si può usare Internet?

«Proprio dal mondo cattolico proviene Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, pioniere di questo tipo di interpretazione di Internet. Da diverso tempo gestisce un sito dal titolo “Cyber teologia”: a suo avviso è inutile considerare internet come un semplice ambiente, ma dovremmo iniziare a capire come entri nelle vite delle persone. La Rete influenza le attività quotidiane delle persone e pertanto occorre saper comunicare sia in senso informativo, ma anche educativo o “pastorale” come direbbe la Chiesa. Non solo medium dunque, ma un ambiente che lascia qualcosa al fedele».

Al vertice, Papa Francesco, che dice?

«I suoi ultimi interventi sono stati piuttosto allarmanti in merito a come debba essere utilizzato internet: il problema per il Papa non è ciò che la Chiesa può fare in rete, ma tutto ciò che chiunque può trovarci, senza mediazioni. Ha redarguito anche i giornalisti dal riportare fake news solo per il gusto e l’esigenza commerciale di fare notizia. Francesco in questi casi ha parlato di “coprofagi” delle cattive notizie».

Lo considera un passo indietro?

«Più che altro si torna a sottolineare l’importanza dell’off-line, del mondo reale, mettendo in guardia dall’irrealtà del “cloud”, la grande nuvola del virtuale. In un certo senso Francesco sta tornando indietro rispetto a Papa Ratzinger che aveva lanciato il suo primo Tweet promuovendo una comunicazione più vicina a quelle giovani generazioni da cui la Chiesa stava allontanandosi. Francesco, pur essendo molto iconico dal punto di vista comunicativo, paradossalmente dice: non chiudetevi nella rete, ma aiutatevi fianco a fianco».

Possiamo dire allora che la virtualità, forse più incentrata sull’individuo, sia adatta al cristianesimo protestante più che a quella cattolico?

«A proposito ci sono vari studi: in effetti sono molte le comunità protestanti che hanno avviato dei percorsi tramite internet per vivere la propria fede. I protestanti sono più propensi alla mancanza di intermediazione e pertanto frequentano la rete più dei cattolici. Tutto ciò comporta una forte disgregazione, cosa che non accade ai cattolici che comunque hanno una centralità molto forte. Accade dunque che ogni piccolo gruppo di protestanti abbia il suo sito dove si trovano voci molto diverse. Manca una voce univoca o condivisa da tutti».

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