Eraldo Affinati a Educa: «Insegniamo cosa vale davvero»

di Denise Rocca

Adolescenti italiani che insegnano ad adolescenti stranieri la propria lingua. Una sala piena di sedie e persone, lezioni uno a uno: la scuola «Penny Wirton» nasce per fare una cosa semplicissima - insegnare italiano agli stranieri - e finisce per ottenerne un paio di assai difficili: l’incontro nel mondo reale, e non solo in quello virtuale, di giovani che fanno esperienza l’uno dell’altro e la prova sul campo di una didattica nuova. Nate nel 2008, le Penny Wirton sono state fondate dallo scrittore e docente Eraldo Affinati e da sua moglie, l’insegnante Anna Luce Lenzi. Una di recente è nata anche a Trento, e le case editrici Il Margine e successivamente Ericksson hanno curato la pubblicazione del manuale. Così il capoluogo ha un posto speciale in questa avventura scolastica sui generis. Ad oggi sono 43 le Penny Wirton in Italia e nel suo libro «Via dalla pazza classe» Affinati ne racconta l’avventura. Oggi a Educa, alle 16.30 al Palazzo della Fondazione cassa di risparmio di Trento e Rovereto, l’autore dialogherà con Mario Caroli e Piergiorgio Reggio.

Alla luce della sua esperienza nelle scuole Penny Wirton, cosa significa educare oggi?

«Significa ricomporre i tanti frammenti che vediamo in Italia. Molti adolescenti portano a scuola con sé una una irrequietudine e difficoltà che l’insegnante percepisce subito. Una difficoltà che richiama una crisi etica, una mancanza di valori capace di orientare il cammino dei giovani. Chi percepisce questa irrequietudine degli studenti, gli insegnanti quindi, è chiamato in qualche modo a porre rimedio. Per dire che educare significa far diventare grandi i ragazzi, farli diventare adulti, cercare con loro un rapporto diretto e personale prima di spiegare il programma o dare un voto».

Genitori e insegnanti, i due poli educativi di un bambino che cresce. Il rapporto fra loro è spesso conflittuale. Che consiglio darebbe a un insegnante e a un genitore?

«Diciamo che l’insegnante e il genitore dovrebbero riuscire a trovare un accordo armonico per lo sviluppo dei figli e degli allievi. Abbiamo adulti, e quindi genitori, spesso molto fragili e l’adolescente ne rimane colpito. Se ci sono contrasti fra docenti e genitori il primo danneggiato è l’allievo, è quindi un interesse comune quello di fare un patto, anche perché l’insegnamento deve essere corale, non ci può essere una sola persona che diventa esclusiva nel momento educativo».

Che suggerimenti si possono portare dallo spirito che anima le scuole “Penny Wirton” sui banchi della scuola tradizionale?

«Noi della “Penny Wirton” vogliamo essere autentici, veri. Quindi cerchiamo di fuggire da ogni finzione pedagogica, che è quando fai finta di insegnare e di conseguenza l’allievo fa finta di ascoltare l’insegnante. Come diceva Don Milani: “Non cosa bisogna fare, ma come bisogna essere”. Io mi riconosco in questa esortazione: bisognerebbe essere autentici e veri e poi ogni metodo o modello avrà sicuramente più possibilità di funzionare».

Le Penny Writon puntano molto sulla relazione fra insegnanti e studenti, ma è innegabile che i media – tv e social soprattutto – si siano appropriati di una buona parte del tempo dei giovani tenendoli nel mondo virtuale così a lungo da diventare un nuovo agente educativo. Come si gestisce?

«Con il digitale stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione. Parlo di rivoluzione perché i ragazzi hanno una testa e un modo di pensare molto diversi dai loro coetanei di vent’anni fa. Oggi compito della scuola è ripristinare le gerarchie di valore nel mare magnum del web, orientarli all’interno della rete su cosa è importante e cosa non lo è. La responsabilità della scuola è maggiore rispetto al passato, senza dubbio. Il secondo punto è che non basta essere informati, ma occorre conoscere, passare dalla presenza dell’informazione alla conoscenza. In rete troviamo tutto in tempo reale, non è detto però che lo riusciamo a capire. La scuola interviene qui, aiutando ad andare verso il rigore, l’approfondimento, il discernimento. Si ha l’illusione di una scorciatoia formativa con internet, ma è appunto un’illusione, la fatica di comprendere è necessaria perché sia formazione vera. Il terzo tema è legato all’esperienza: oggi serve fare esperienze della realtà che non possono essere solo virtuali, portare i giovani ad un contatto diretto del mondo, ad un’esperienza concreta della vita. Ecco perché alla Penny Wirton cerchiamo di favorire il rapporto personale fra l’adolescente italiano e il suo coetaneo straniero, è un momento di verità necessario ad entrambi».

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