Un coro di no alle telecamere all'interno di asili e Rsa

Un secco no all’installazione delle telecamere nelle case di riposo e negli asili per contrastare gli episodi di violenza. Francesca Parolari, presidente di Upipa e della Apsp Opera Romani di Nomi, e la direttrice della Federazione provinciale delle scuole materne Lucia Stoppini restano ferme sulle loro posizioni anche nella giornata in cui l’argomento è tornato di estrema attualità a causa degli arresti nel Lazio di tre maestre e di una bidella accusate di picchiare i bimbi. Un episodio questo che ha portato il ministro dell’Interno Matteo Salvini a promettere in un tweet che presto la videosorveglianza sarà obbligatoria e che se sarà necessario si farà un decreto.

Esiste, ricordiamo, un provvedimento di legge già approvato alla Camera, ma da mesi fermo al Senato, che prevede l’utilizzo di apparecchiature di controllo all’interno dei luoghi dove ci sono persone che da sole non sono in grado di difendersi, come appunto i minori e i disabili. Chi è contrario ha sempre invocato il rispetto della privacy, sostenendo che la possibilità di registrare quanto avviene in questi luoghi lede i diritti degli individui, in particolare le maestre. La nuova normativa all’esame del Parlamento prevede però una serie di limitazioni, anche drastiche, sia per quanto riguardo l’accesso al materiale, sia per il suo utilizzo.

«La videosorveglianza - spiega Francesca Parolari - è uno strumento controproducente. Introduce elementi di sospetto nelle strutture. I soldi che pensano di spendere per i videocontrolli devono essere destinati alla formazione del personale». Lucia Stoppini la pensa esattamente come lei: «Secondo me si sta imboccando una strada pericolosa. Prevenire utilizzando le telecamere è quanto di più sbagliato si possa fare. Bisogna portare avanti una cultura del dialogo e del continuo confronto tra i genitori dei bambini e gli insegnanti. Serve una fiducia reciproca. Noi in Trentino ci stiamo muovendo così e i risultati premiano finora la nostra strategia». Aggiunge: «La cosa peggiore sarebbe quella di delegittimare chi lavora all’interno delle nostre strutture. Siamo pronti, se ci chiedono trasparenza, ad aprire di più all’esterno gli asili».

Contraria all’imposizione delle telecamere all’interno delle case di riposo è pure Patty Rigatti, direttrice della Rsa di Povo: «Consiglio di individuare una soluzione condivisa tra tutte le parti in questione. Dobbiamo garantire agli ospiti di non subire maltrattamenti e allo stesso tempo ai dipendenti di lavorare senza eccessive pressioni. Ne hanno già tante. Dalla mia esperienza vedo comunque che quando c’è un buon rapporto tra noi e i familiari di chi vive qui serenità diminuiscono incomprensioni e divergenze».

Mario Chini, direttore della Rsa San Bartolomeo di Trento, suggerisce di investire maggiori risorse nella formazione del personale: «Le mie idee sono quelle di Upipa. L’obbligo della videosorveglianza non risolverà nulla. Temo che possa anzi portare un grande effetto negativo, la deresponsabilizzazione dei dipendenti. Contro i maltrattamenti si sta già facendo tanto. Uno dei rimedi anti violenza più efficaci è aprire le case di riposo e avere delle figure professionali preparate e capaci di interagire con gli ospiti e i rispettivi parenti. La tolleranza zero si deve applicare nel caso dei fatti accertati e basta».
La palla adesso passa alla politica nazionale e provinciale.

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