Allarme nascite: ancora in calo, appena sopra le 4 mila in un anno

di Patrizia Todesco

Salutati i primi neonati del 2019, qui l’articolo con le foto, si fanno anche i conti degli ultimi nati nel 2018. Troppo pochi per raddrizzare un trend costantemente in calo da ormai molti anni e che fa riflettere sul futuro della nostra società.

Il rischio di finire sotto quota 4 mila è stato scongiurato, ma il calo di nascite è confermato anche per il 2018. Sono stati 4.012 i nati, 3950 i parti. In pratica 144 neonati in meno rispetto all’anno precedente.

Analizzando i dati si scopre che i maschi sono in leggera maggioranza (51%) e la percentuale dei tagli cesarei è sotto il 20 per cento. Solo al S. Chiara, dove sono concentrati i parti a rischio, è del 20,44%, scende al 17,23% a Rovereto ed è del 14,3% a Cles.
Per quanto riguarda l’ospedale di Cavalese, il cui punto nascita è stato riaperto il primo dicembre, in un mese si sono registrate 14 nascite, di cui una con parto cesareo. Sempre piuttosto numerosa la «squadra» dei gemelli. Sessanta i parti bigemellari e uno trigemellare.
A fronte di una diminuzione degli stranieri presenti sul territorio provinciale, rimane alta la percentuale dei bambini dati alla luce da famiglie extracomunitarie. Sono stati il 27%, in pratica un bambino su quattro, dato leggermente più alto rispetto all’anno precedente.
Il S. Chiara si conferma l’ospedale di riferimento con più della metà dei nati (2.396). Il numero è comunque inferiore rispetto allo scorso anno quando erano stati 2.559.
Trento è seguito da Rovereto (1.153) e Cles (449). Infine Cavalese che, come detto, ha totalizzato 14 parti in 31 giorni.

Analizzando tutti i dati ciò che desta maggiore impressione è sicuramente il calo complessivo, lento ma costante, che si è avuto negli ultimi dieci anni.
L’anno più prolifico per il Trentino era stato il 2008 con 5.169 anni. In precedenza, tra il 2000 e il 2008 i numeri avevano osciallato tra 4.900 e 5.100. Erano i tempi in cui a Trento si nasceva sia al S. Chiara che al S. Camillo, e che in Provincia erano attivi altri sei punti nascita (Borgo è stato chiuso a fine 2006). La situazione è iniziata a cambiare con il 2011. Nel 2010 si era arrivati a 5.102 bambini (più di mille a Rovereto, 437 a Cles, 509 ad Arco, 294 a Cavalese e 236 a Tione). Poi è iniziata la lenta ma inesorabile decrescita. - 117 meno nel 2011, - 91 nel 2012, - 207 nel 2013, - 107 nel 2014, - 47 nel 2015, -244 nel 2016, - 136 nel 2017 e infine -144 lo scorso anno. Una discesa che non sembra destinata a diminuire.

Del resto il problema non è solo del Trentino, anzi, il nostro tasso di natalità è tra i più alti d’Italia. Sulla crisi delle nascite incidono vari fattori e l’analisi è stata affidata di volta in volta a sociologi, economisti ed esperti di ogni genere. Prima delle scelte personali, ci sono i più concreti ostacoli della vita quotidiana: precarietà del lavoro, reddito basso, scarsi congedi parentali, assenza di flessibilità negli orari di lavoro.

Poi ci sono però le scelte personali, soprattutto quelle donne, per le quali concilare voglia di studio e carriera con il desiderio di maternità è tutt’altro che facile.


Che fare? L'assessore provinciale Segnana annuncia che aumenterà gli aiuti alle famiglie. Ma un esperto come il Professor Michele Andreaus, ad esempio, ci spiega che «in Europa dove ci sono più figli è in Scandinavia dove c’è un tasso di lavoro femminile più alto, perché ciò crea più prospettive economiche e di sicurezza per la famiglia. E dove c’è maggiore mobilità sociale con i giovani che andando avanti negli anni trovano stabilità di reddito e possono permettersi una famiglia».

Quindi, che fare? «I bonus non cambiano nulla, servono invece modifiche culturali e di organizzazione. Ad esempio, un mondo del lavoro che non veda come un trauma la maternità ma come qualcosa che si gestisce con serenità. Come in Scandinavia, invece, servono asili nido ovunque, obbligo di congedi parentali per il padre lunghi e non solo di 5 giorni come in Italia, orari di lavoro e dei servizi pubblici che consentano di conciliare famiglia e impegni lavorativi dei genitori. Perché ormai è obbligatorio lavorare in due».

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