Adesca 13enne sul web

Non merita le attenuanti generiche un trentenne palermitano che aveva «agganciato» su internet una 13enne di Levico convincendo la ragazzina ad inviare immagini di lei nuda. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Trento che ieri ha confermato la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione inflitta in primo grado.

Al di là degli aspetti giuridici al centro del processo, la vicenda giudiziaria mostra - se ce ne fosse ancora bisogno - i pericoli che la rete  rappresenta per gli adolescenti, facili prede per gli squali del web, sempre a caccia di nuove immagini pedopornografiche con soggetti minorenni.

I fatti contestati risalgono al 2013. L’imputato, di fatto reo confesso dopo che le foto «incriminate» erano state trovate anche sul suo telefono, sosteneva di aver conosciuto (in modo solo virtuale) la ragazzina perché questa aveva postato, forse per curiosità, delle sue foto su un  sito di incontri. Di certo il risultato, a detta della stessa ragazza, fu sorprendente. Furono numerose le persone che risposero sollecitando l’invio di immagini erotiche e chiedendo di entrare in possesso del numero di cellulare delle ragazzina. Tra questi, tale Paolo (nome falso utilizzato dall’odierno imputato) fu particolarmente insistente: «Con Paolo -  raccontò poi la 13enne alla Polizia postale - ho avuto il rapporto più lungo. Tutti i giorni lui mi chiedeva che gli mandassi video e foto e me li richiedeva sempre nuovi.... Mi sono rivolta alla Polizia proprio perché Paolo era molto insistente nelle sue richieste e io mi ero stufata».

Agli investigatori la ragazza consegnò anche il suo cellulare utilizzato, in genere attraverso Whats App, per trasmettere e ricevere immagini. Foto e video erano stati cancellati, ma la polizia è riuscita a recuperare i file dal telefonino. E con essi anche il numero di telefono che aveva sollecitato l’invio delle foto proibite. L’uomo, che non aveva nascosto la sua reale età, aveva adottato un approccio soft: sulle prime aveva tranquillizzato la 13enne assicurandole che non le avrebbe chiesto nulla. Ben presto, però, le reali intenzioni vennero a galla: l’uomo chiese alla ragazza foto delle sue parti intime. Lei all’inizio incautamente accettò,  entrando in una spirale di richieste sempre più pesanti e frequenti.

L’uomo le chiese anche un filmato in cui lei faceva atti di autoerotismo e ne spedì a sua volta uno dello stesso tenore. Non sappiamo se l’obiettivo del 30enne fosse, prima o dopo, incontrare la ragazzina - tra Levico e Palermo ci sono 1.500 chilometri, ma non sarebbe la prima volta che un pedofilo si mette in viaggio per raggiungere la vittima -  perché lei, forse intuendo il pericolo, troncò ogni contatto.
L’indagato venne arrestato dopo che sul suo telefonino furono  trovate le immagini della ragazzina. A suo discarico disse solo che non aveva consapevolezza che la giovane a cui aveva chiesto le foto fosse minorenne.

In primo grado l’imputato, difeso dall’avvocato Salvatore Vella del Foro di Palermo, venne condannato al termine di un processo con rito abbreviato ad 1 anno e 10 mesi di reclusione. Il giudice riconobbe alla minorenne, costituita parte civile con l’avvocato Chiara Pontanti, un risarcimento di 5.000 euro. La procura di Trento fece ricorso per Cassazione sostenendo che le attenuanti generiche erano state concesse senza un’adeguata motivazione. Il ricorso fu accolto dalla Suprema corte che annullò la sentenza rinviando gli atti al Tribunale di Trento per una nuova valutazione.

Il giudice Michele Cuccaro l’anno scorso condannò l’imputato a 2 anni e 6 mesi senza concedere lo sconto per le generiche. Ieri la sentenza è stata confermata.

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