L'Inps batte cassa, a vincere è l'arbitro Sulla cessione dei diritti di immagine non c'è obbligo di versare i contributi

di Marica Viganò

Sono il bersaglio preferito dei tifosi, vittime di cori non propriamente parrocchiali, parafulmini del nervosismo quando la propria squadra non vince. Gli arbitri di calcio ora vengono presi di mira anche dall'Inps, accusati di non aver versato i contributi relativi alla cessione dei diritti di immagine. La notifica è arrivata alla trentina Romina Santuari, arbitro con ruolo di assistente in serie A nel campionato maschile e con esperienza internazionale nel calcio femminile: 4.686,71 euro per contributi dovuti e non versati per l'anno 2010. Santuari, assistita dagli avvocati Paolo Dal Rì e Nicola Degaudenz, ha presentato ricorso al giudice del lavoro di Trento, che le ha dato ragione. L'avviso di addebito emesso dall'Inps e notificato l'8 gennaio 2017 al fischietto trentino è stato annullato. 

Gli arbitri di calcio della Figc hanno un contratto coordinato e continuativo e sono pertanto iscritti alla gestione separata. Molti di loro - tra cui Romina Santuari, arbitro per la Figc dal 2009 al 2015 - stipulano con la Federazione gioco calcio contratti di esclusiva dei diritti dell'immagine e della voce. Diritti strettamente personali, i cui corrispettivi non derivano da una prestazione lavorativa: lo hanno sottolineato gli avvocati Degaudenz e Dal Rì nel ricorso, sostenendo dunque l'insussistenza dell'obbligo contributivo.  

Romina Santuari, tra l'altro, non è il primo arbitro associato Aia (l'Associazione arbitri italiani) con contratto Figc a ricevere tale avviso dall'Inps; vari tribunali in Italia (a partire dal tribunale di Torino) e corti d'appello hanno ritenuto infondate le pretese dell'Istituto di previdenza. Esiste infatti un interpello formalmente avanzato dalla Figc il 5 dicembre 2006 sulla questione; la risposta dell'Inps era arrivata pochi giorni dopo, il 14 dicembre, chiarendo che i compensi relativi alla cessione dei diritti di immagine erano esclusi dall'obbligo contributivo. Ma a distanza di 10 anni l'Istituto di previdenza ha deciso di batter cassa.  

Nel ricorso viene citata anche una sentenza del 2004 della Corte di Cassazione, con riferimento all'articolo 43 delle legge 27 dicembre 2002 relativo ai lavoratori dello spettacolo assicurati all'Enpals, che stabilisce che i compensi percepiti a titolo di cessione dell'immagine non possono eccedere del 40% dell'importo complessivo percepito in relazione al contratto di prestazione e che questa quota rimane esclusa dalla base contributiva pensionabile. «Nel caso di specie - hanno evidenziato gli avvocati - quella che è remunerata non è la prestazione lavorativa vera e propria, bensì la cessione del diritto di sfruttamento dell'immagine».  

Il giudice Giorgio Flaim ha rigettato l'eccezione di prescrizione sollevata nel ricorso (contributi del 2010 richiesti nel 2016), ma ha accolto l'opposizione all'avviso di addebito dell'Inps. Nella sentenza del 2 ottobre viene evidenziato che nel caso in esame il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e la cessione dei diritti dell'immagine con facoltà di sfruttamento economico hanno una fonte distinta scaturendo da contratti diversi. E, soprattutto, viene rilevata la differenza tra prestazione di lavoro (coordinato e continuativo, svolto dall'arbitro) e trasferimento dei diritti soggettivi (della personalità, ossia quelli ceduti da Romina Santuari), ossia «la cessione di elementi immateriali».  

Il giudice Flaim ricorda l'interpello presentato dalla Figc nel 2006 sulla stessa questione e la risposta dell'Inps «di ritenere esclusi i compensi corrisposti per la cessione del diritto di immagine» in quanto «tali compensi... non riguardano l'attività lavorativa arbitrale bensì un diritto personale che il soggetto sceglie di cedere dietro compenso».

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