Migranti, in Trentino in 200 sono «fantasma» C'è chi dorme per strada ma la metà lavora

di Francesco Terreri

Da gennaio a oggi sono arrivati in Trentino 122 immigrati che hanno fatto richiesta di asilo o protezione internazionale. Si tratta di persone arrivate in Italia attraverso la via del Mediterraneo, da sempre pericolosa e oggi pressoché chiusa per decisione del governo di Giuseppe Conte . D’altra parte i migranti usciti dal Trentino sono, nello stesso periodo, 280, più del doppio, e quindi i richiedenti asilo nel sistema di accoglienza gestito dal Cinformi continuano a calare: al 20 agosto sono 1.494, per due terzi africani, il 10% in meno di inizio anno quando erano 1.666. Ma in Trentino sono arrivati altri 200 migranti via terra, anch’essi richiedenti asilo ma praticamente «fantasma».
Sono persone spesso senza dimora, costretti a dormire sulle panchine, nei parchi o sotto i ponti e a ottenere un pasto caldo al Punto d’Incontro di via Travai. Provengono in qualche caso dalla via Balcanica ma per lo più dai Paesi del Nord Europa, in primo luogo la Germania. Sono in gran parte pakistani, nonché afgani o bangladeshi, già rifugiati in Germania, dove hanno lavorato e imparato la lingua. Ma il governo di Angela Merkel , pressato dalla protesta anti immigrazione, ha deciso che il Pakistan non è più un Paese a rischio, anche se lì minoranze religiose come i cristiani subiscono aggressioni e violenze da parte del fondamentalismo islamista.


Nel caso del Bangladesh, sono spesso lavoratori già emigrati anni fa in Medio Oriente o in Libia, dove lavoravano nell’edilizia o nell’industria petrolifera, e ora migranti per la seconda volta da zone diventate di guerra.
Questi nuovi profughi non rientrano però automaticamente nel sistema dell’accoglienza, tanto che i presidenti di Trento e Bolzano Ugo Rossi e Arno Kompatscher , insieme alla Conferenza delle Regioni, hanno chiesto al governo di considerare i richiedenti via terra alla stessa stregua di quelli via mare. Da Roma, per ora, nessuna risposta.
Intanto i tempi anche solo per il permesso di soggiorno provvisorio sono molto lunghi: quattro-cinque mesi. «I quattro migranti che sono arrivati da noi ieri hanno ottenuto l’appuntamento in Questura nel gennaio 2019» dicono Milena Berlanda , direttore, e Giorgio Viganò , già consigliere provinciale e oggi operatore del Punto d’Incontro, mentre in via Travai si prepara il pasto di mezzogiorno per oltre un centinaio di persone senza fissa dimora, tra cui una ventina di trentini, altrettanti di altre regioni italiane e diversi richiedenti asilo «fantasma».
«Da inizio anno da noi ne sono arrivati 132 su 305 nuovi arrivi di tutti i tipi - spiegano Berlanda e Viganò - Di essi, 118 sono pakistani, quasi tutti provenienti dalla Germania. Conoscono bene il tedesco, hanno lavorato nella ristorazione ma anche in campagna, in agricoltura. Tra loro trovi pure laureati. Vanno subito al Cinformi e poi chiedono l’appuntamento in Questura per formalizzare la richiesta di protezione internazionale. Ma i tempi sono molto lunghi e nel frattempo vivono in una sorta di limbo».
I numeri sono confermati dal Cinformi. «Sono venuti a chiedere informazioni in 40 ad agosto, 50 a luglio, una trentina a giugno e maggio» snocciola i dati il coordinatore Pierluigi La Spada . Circa 150 in quattro mesi, che porta la stima da inizio anno, appunto, a più di 200. «Non hanno una condizione giuridica tale da poter essere inseriti nel sistema dell’accoglienza fino a quando non l’autorizza il governo - puntualizza La Spada - Alcuni nel frattempo vengono inseriti, altri vanno via».
Al Punto d’Incontro, infatti, oggi sono 81 i richiedenti protezione internazionale che usufruiscono dei servizi per senza fissa dimora. «Vorrebbero lavorare - sottolinea Viganò - Appena hanno un permesso provvisorio li trovi in bici a distribuire volantini o nelle serre. Molti intanto vanno in biblioteca a imparare l’italiano. Ma ai più tocca fare vita di strada, dormire sulle panchine e quando farà freddo chiedere ospitalità nei ricoveri».


 

«I MIGRANTI NON LAVORANO». FALSO: ECCO I DATI SULL'OCCUPAZIONE IN TRENTINO

Dei 1.494 richiedenti asilo ospitati nel sistema di accoglienza trentino, più della metà lavora o ha lavorato almeno per qualche periodo nell’ultimo anno. «In realtà quasi tutti - precisa Pierluigi La Spada , cooordinatore del Cinformi, la struttura della Provincia che si occupa di immigrazione - Non solo perché promuoviamo molti tirocini formativi, ma anche perché tutti a rotazione sono impegnati nei lavori volontari presso le stesse strutture che li ospitano, dalla pulizia alla manutenzione, o in quelli organizzati d’intesa con gli enti locali».
Siamo lontani, insomma, dall’immagine dei giovani nullafacenti che passano il tempo a girarsi i pollici. Anche se trovare lavoro non è facile, ancor meno avviare attività in proprio, come qualcuno vorrebbe fare, e le occupazioni sono per lo più a termine. Tecnicamente non ci sono ostacoli: dopo 60 giorni dalla domanda, i richiedenti asilo possono svolgere attività lavorativa. A Bolzano il tasso di occupazione è superiore (vedi sotto), soprattutto perché in Alto Adige c’è meno disoccupazione in generale e le imprese hanno un maggiore fabbisogno di manodopera.
Al 30 giugno il Cinformi ha rilevato tra i richiedenti asilo 260 occupati. Considerando la rotazione tra i vari lavori stagionali, si arriva nell’arco dell’anno a superare metà del totale. Il 47% degli occupati è nella ristorazione, il 16% nell’agricoltura, quota destinata a crescere in queste settimane con la vendemmia e la raccolta delle mele, il 14% nell’industria, il 10% nei servizi, il 6% in aziende alimentari, il 4% nei servizi alla persona, il 3% nel commercio.
«Va precisato però che il Cinformi non può mettersi a cercare lavoro per queste persone o per chiunque altro - rimarca La Spada - Sarebbe intermediazione di manodopera, è vietata e noi non la facciamo. Noi facciamo formazione e orientamento, indirizzando poi i richiedenti asilo all’Agenzia del Lavoro o alle agenzie private accreditate. Contattiamo le aziende per i tirocini, svolti con regole molto rigide. Da essi più del 40% dei partecipanti trova un’occupazione, almeno a termine». Nel 2017 hanno concluso un tirocinio 182 migranti, mentre 57 attività formative erano ancora in corso al 31 dicembre, per un totale di 239 tirocinanti.
«I giovani immigrati cercano tutto l’aiuto possibile - spiega Serena Naim della cooperativa Arcobaleno, che nell’ambito della rete dell’accoglienza si occupa di orientamento al lavoro - Noi facciamo formazione, orientamento, supporto. Li aiutiamo a leggere gli annunci di lavoro, a preparare e mandare curriculum. Le assunzioni sono di solito a termine ma alcune diventano a tempo indeterminato. Il problema è che molti di loro non hanno idea di come fare, non sanno dove cercare. Ci occupiamo anche dei prerequisiti lavorativi».
«Ci sono tra loro laureati, generalmente in materie scientifiche - prosegue Naim - Molti hanno competenze professionali, in qualche caso, come i saldatori, con tecniche diverse da quelle che si applicano qui. Ci viene spesso chiesto di avviare un’attività in proprio: ma se volessi aprire un negozio? Ci si scontra però con le numerose formalità necessarie». I due terzi dei migranti presenti nelle strutture di accoglienza trentine proviene da Paesi africani, dove queste formalità non ci sono. Ma la spinta all’imprenditorialità c’è.


 

A BOLZANO - IL 100% LAVORA

«Ho appena finito un giro nelle nostre strutture. Con le richieste per la raccolta in agricoltura, siamo quasi al 100% di migranti occupati. A Vipiteno, su 36 ospiti 32 stanno lavorando». Paolo Valente è il direttore della Caritas Diocesana di Bolzano, che conta 11 centri di accoglienza con 450 persone ospitate. Complessivamente l’Alto Adige Südtirol accoglie circa 1.600 richiedenti asilo in 25 strutture. «Le nostre strutture sono su tutto il territorio - precisa Valente - e vanno da 20 ospiti a 50-60».
«Dopo il secondo mese, i richiedenti asilo possono lavorare - sostiene Valente - La ricerca di occupazione è un po’ difficile, anche perché qui da noi occorre imparare due lingue, l’italiano e il tedesco. Tuttavia l’ambiente è in generale abbastanza favorevole perché in Alto Adige il tasso di disoccupazione è basso e quindi c’è più facilità di trovare un’assunzione».
Secondo Valente, in media il 60% dei migranti in età da lavoro ospiti nelle strutture, escludendo cioè mamme con figli piccoli e minori, trova un’occupazione. «Non tutti un lavoro in senso stretto: il 36-37% sono contratti di lavoro, il resto tirocini e volontariato di pubblica utilità». In questo l’Alto Adige non sembra molto diverso dal Trentino (vedi sopra). La differenza la fa il clima economico generale, con la quasi piena occupazione e le carenze di manodopera nelle aziende.
«Ho appena finito un giro nelle strutture. Con la raccolta in agricoltura in questo periodo siamo quasi al 100% di occupazione. Noi curiamo la preparazione all’attività lavorativa, con corsi di lingua e di formazione a volte organizzati dalla Provincia, altre volte da noi, con i nostri operatori o con i volontari».
«Gli stessi cittadini si rivolgono alle nostre case - aggiunge Valente - Ad esempio, un contadino ha trovato cinque persone per la vendemmia. Abbiamo un rapporto col territorio e le imprese molto positivo che aiuta l’integrazione. Da noi il grosso dei richiedenti asilo sono africani, ma ci sono anche afgani, pakistani, iracheni, in parte nel limbo perché vengono dalla Germania (vedi pagina a fianco). Parte delle persone è analfabeta, ma si richiede anche manodopera non specializzata». A proposito di Germania, lì per i profughi hanno puntato decisamente sul lavoro, anche perché c’è, appunto, forte richiesta dalle aziende. «In Austria invece, con cui siamo in contatto, i profughi non possono lavorare» osserva Valente. «Il problema può esserci all’uscita, quando il rifugiato lavora e quindi potrebbe permettersi di pagare l’affitto di un’abitazione ma a Bolzano è difficile trovare l’alloggio».

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