Muore a soli 16 anni, il volley in lutto Elisa Dellantonio, una battaglia lunga 2 anni

Elisa Dellantonio aveva 16 anni e un mondo intero dentro. Aveva il sogno di un negozietto, da aprire con la zia, magari a Riva del Garda, che a lei piaceva il lago. Aveva la passione per la pallavolo. Aveva amici e una famiglia che non si è mai arresa. Soprattutto, aveva voglia di viverselo, il suo mondo. Elisa Dellantonio da ieri non c'è più. Alla fine ha vinto la malattia. Dopo due anni di battaglia affrontata senza rinunciare a sorridere, se n'è andata. Lasciandosi alle spalle però la consapevolezza di aver saputo mobilitare tante persone, che le sono state vicine, ognuno come poteva. Peluches e lettere inviate a casa, chiamate e inviti, ma pure dediche speciali - su tutte quella del suo idolo Pippo Lanza - veglie di preghera, pedalate collettive. Un moto d'affetto che forse ha aiutato lei.

Di sicuro ha aiutato tutti gli altri, a scoprirsi comunità. Per questo ieri, quando la notizia è diventata pubblica, si sono moltiplicati gli attestati di affetto sui social, a partire dalla Asd pallavolo Lizzana.Il volley ha avuto una parte importante nella vita di Elisa. I primi palleggi li aveva fatti alle elementari, e poi su, fino a quell'under 14 dell'allora Us. San Giuseppe, che vinse il campionato, nel 2014/2015. Un regalo che le ha fatto la vita, prima di assestarle uno schiaffo di quelli brutti. La malattia. Un percorso che anche i suoi allenatori Daniela, Fabrizio e Gianpaolo, hanno visto dal principio: «Quando abbiamo vinto era in campo. Lei c'era sempre, perché non si tirava mai indietro - ricorda ora Daniela Martini - né per i tornei, né per i ritiri. Ed era una ragazza solare, positiva, dolce, coraggiosa. Ed era bellissima».

La malattia è arrivata all'improvviso. Qualche malore, poi la diagnosi. Leucemia. Aveva 14 anni, quando glielo hanno dovuto dire. E lei ha iniziato il percorso di cure. Tutte quelle che sono servite, sempre. A Verona prima, a Milano poi. A breve, avrebbe dovuto iniziarne un'altra. Perché quando la vita le ha mostrato che per esserci doveva combattere, lei si è messa i guantoni. Tutt'attorno, la soldarietà è stata immediata: «Le ragazze hanno mantenuto i rapporti, sempre. Per via della malattia spesso non poteva uscire, quindi le inviavano peluches, le scrivevano - ricorda Daniela - e anche i genitori sono stati vicini alla famiglia e a lei. Abbiamo organizzato una pedalata per la vita con l'Ail, solo qualche settimana fa una serata di preghiera».

E poi c'era Aurora. Un'amica di quelle che l'adolescenza talvolta regala. Lei c'è sempre stata. «Sono stati anni lunghi, difficili - spiegava ieri Aurora - Elisa per me era, è, la ragazza più forte che conosca. Non saprei immaginare un'altra persona che sappia sopportare quel che lei ha sopportato, con la voglia di scherzare, di uscire di casa, con gli occhi sereni che aveva lei. Perché lei voleva vivere, non sopravvivere». A sopportare tutto l'hanno aiutata mamma Elena, papà Andrea e il fratello Stefano. Ma anche gli attestati d'affetto che venivano «da fuori»: «Sì, l'hanno aiutata tanto, continuava a parlarne - ricorda Aurora - ma faceva anche tante cose. Con la zia creava delle magliette con paillettes fantastiche, era appassionata di moda, adorava uscire, anche solo per un gelato o per fare shopping». Vivere, non sopravvivere, appunto.

L'affetto che ha avuto in questi anni, oggi potrà avvolgere la sua famiglia. Alle 14 a Villa si terranno i funerali. Mentre su Facebook continuano i messaggi di ricordo. Il più bello, quello di Aurora: «Elisa, sei la più forte, sei da ammirare. Sono fiera di te».

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