«Zecche, la nostra odissea» La vicenda di un agricoltore

«Purtroppo delle terribili conseguenze possibili per la puntura di zecca sappiamo poco, e a mio parere sanno poco anche i medici: la storia di nostro figlio è esemplare». E così una mamma della val di Non ci racconta una vera e propria odissea, iniziata con una banale puntura nei campi, e culminata con un calvario lungo un anno e mezzo.


«Mi piacerebbe che tutti sapessero che dal morso della zecca si può contrarre l’encefalite, ovvero una infiammazione del cervello che può lasciare gravi danni cerebrali, che si riflettono sulle capacità cognitive, di movimento e di parola» ci spiega la mamma di questo paziente. E ci racconta tutta la vicenda, fra visite, ricoveri e rinvii.

«Mio figlio lavora in campagna, come tanti n Val di Non, e quindi è particolarmente esposto. Tutto è iniziato alla fine dell’estate scorsa, quando è stato punto da una zecca nei campi: in breve ha iniziato a sentirsi male, con una febbre persistente che a un certo punto, dopo una settimana, è arrivata a 39,5. Mio figlio stava malissimo - spiega la mamma - ma i sintomi sembravano quelli dell’influenza e il medico gli ha ordinato la Tachipirina 1000. Dopo una settimana è tornato a lavorare ma era sempre debole: quattro giorni dopo non stava in piedi e lo abbiamo portato al Pronto soccorso dell’ospedale di Cles».

Tutto a posto? Non proprio: «Abbiamo riferito della puntura di zecca, e l’hanno rimandato a casa, dicendo di continuare con la Tachipirina per la febbre. Abbiamo anche chiesto se si poteva fare il test per le malattie trasmesse dalla zecca, ma ci è stato risposto che “il test ve lo fa il vostro medico di base”. Pochi giorni dopo hanno dovuto ricoverarlo d’urgenza al Santa Chiara di Trento, dove gli hanno fatto la spinale e una terapia d’urto a base di cortisone».


Il paziente aveva contratto l’encefalite: «Al Santa Chiara - racconta la madre - è stato ricoverato un mese, e mentre era lì abbiamo visto altri casi di pazienti come lui che arrivavano. Volevo dire che non si tratta di un evento remoto, è purtroppo una eventualità da tenere in considerazione e che non va affrontata alla leggera».


Infatti il giovane contadino ha avuto conseguenze pesanti: «Dopo il Santa Chiara, è stato ricoverato un mese e mezzo a Villa Rosa a Pergine per la riabilitazione. Adesso, a molti mesi di distanza, ha ancora difficoltà nella parola e nella deambulazione. E pensare - spiega la madre - che ne abbiamo passate di tutti i colori: a un certo punto ci hanno anche detto che non avrebbe dovuto andare a Villa Rosa, che non era un paziente adatto. Ma soprattutto - spiega la madre - abbiamo dovuto scontrarci con tanto scetticismo. Ad esempio medici che più volte ci hanno chiesto “ma prima della zecca, era normale?”. Una cosa davvero umiliante».


Il messaggio? «Forse non tutti i medici sono preparati: questa cosa sta esplodendo, ma ad esempio i medici di famiglia ne sanno poco. Spero che l’Azienda sanitaria prenda in mano il problema. Noi ci siamo passati, e ne porteremo le conseguenze per sempre».

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