Per lo spaccio il padre usava i figli In Valsugana spuntano anche estorsioni

C’è chi utilizzava i figli, di cui uno minorenne, per lo spaccio al dettaglio. C’è chi, convinto che un appartenente al sodalizio criminale avesse sottratto della droga nascosta (in realtà sequestrata dalla polizia) mette in piedi un’estorsione. C’è anche chi, previdente, reinveste il denaro guadagnato con lo spaccio di droga in un’attività di ristorazione.

C’è chi utilizzava i figli, di cui uno minorenne, per lo spaccio al dettaglio. C’è chi, convinto che un appartenente al sodalizio criminale avesse sottratto della droga nascosta (in realtà sequestrata dalla polizia) mette in piedi un’estorsione. C’è anche chi, previdente, reinveste il denaro guadagnato con lo spaccio di droga in un’attività di ristorazione.

Il flusso di stupefacente che dalla Bonsia arrivava in Valsugana è stato però interrotto all’improvviso dalla Squadra mobile di Trento. Ora dall’ordinanza di custodia cautelare a carico di 23 indagati - 18 in carcere (alcuni sono latitanti) e 5 ai domiciliari- emergono nuovi particolari.

L'ESTORSIONE

Tre indagati devono rispondere di estorsione: sono Anis Serifovic, Matteo Galeazzo Piccolotto e Andrea Major. «Mediante minaccia - si legge sul capo di imputazione - consistita nel prospettare conseguenze fisiche contro la famiglia o danni a beni materiali di proprietà delle parti offese qualora non avessero aderito alle richieste estorsive, costringevano Simone Puecher e (omissis) a consegnare loro in due distinte occasioni 6.000 e 20.000 euro quale contropartita di una fornitura a loro dire sottratagli da Puecher».

In realtà la droga non è stata sottratta, ma sequestrata di nascosto dagli investigatori della Squadra Mobile. Questo ha mandato in crisi il sodalizio che, senza gli incassi di quella partita, non aveva i soldi per pagare ai bosniaci la fornitura di stupefacente. «Il 6 dicembre 2017 - si legge negli atti dell’inchiesta - Zahid Serifovic accusa Simone Puecher di aver rubato il narcotico che avevano nascosto presso la sua baita in giugno. I soggetti coinvolti ignorano che la sostanza stupefacente è stata sequestrata dalla polizia». Non è un Natale sereno per il sodalizio che incolpa per la sparizione della droga l’incolpevole Puecher finito nei guai perché la droga era stata nascosta in una forra vicino alla sua baita in Panarotta. Il 26 dicembre Andrea Major «fingendosi un emissario dei fornitori bosniaci, contatta Simone Puecher e (omissis) e li minaccia di conseguenze fisiche ai loro familiari ed alle loro proprietà qualora non avessero aderito alla sua richiesta di denaro, almeno 15.000 euro».

Puecher, ovviamente preoccupato per la piega inaspettata presa dagli eventi, si attiva per raccogliere il denaro. Una stretta parente di Puecher (non diamo ulteriori dettagli perché si tratta di persona non coinvolta nelle indagini) si dà da fare per chiedere un finanziamento. La mattina del 5 gennaio 2018 - sempre secondo quanto ricostruito dagli inquirenti attraverso un’intensa attività di intercettazione telefonica - Puecher consegna 20.000 euro ad Anis Serifovic.

 

DI PADRE IN FIGLIO

Uno degli indagati arrestati, indicato nell’ordinanza cautelare come «compartecipe del sodalizio» si sarebbe appoggiato sui figli per l’attività di spaccio. In sostanza era stata messa in piedi un’attività familiare, peccato che fosse illegale. Secondo gli inquirenti l’uomo acquistava «considerevoli quantitativi di narcotico presso Serifovic Zahis e Moser Elisa che poi destina alla cessione al dettaglio avvalendosi in detta attività della collaborazione del figlio, all’epoca minorenne.

 

AFFARI DI FAMIGLIA

C’è un altro esempio di attività di spaccio in forma familiare. È il caso della famiglia Serifovic. Admir Serifovic, detto anche Zeljo (attualmente indicato come latitante), viene definito dall’ordinanza «elemento di contatto tra l’organizzazione italiana e quella bosniaca, gestisce per conto dei figli Zahid e Anis tutte le problematiche riconducibili alle forme di pagamento delle sostanze stupefacenti importate in Italia, confrontandosi direttamente con i vertici stanziali in Bosnia e Croazia. Godendo di fiducia e di rispetto presso i vertici della compagine bosniaca, interviene personalmente e sana le gravi situazioni debitorie sorte in capo ai figli in conseguenza dei mancati pagamenti delle forniture di narcotici». La famiglia Serifovic è stata raggiunta da tre diverse ordinanze di custodia cautelare a carico del padre (domiciliato a Brcko in Bosnia Erzegovina) e dei due figli Zahid e Anis (residenti invece a Casalino, frazione di Pergine Valsugana).

 

AUTORICICLAGGIO

Tra la contestazioni c’è anche quella prevista dall’articolo 648 ter del Codice penale, il cosiddetto autoriciclaggio, che punisce chi «impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto». L’accusa è contestata a Zahid Serifovic e a Elisa Moser perché i proventi dello spaccio venivano impiegati nell’attività di ristoratrice di lei (gestisce un agritur a Monte Rive di Caldonazzo ) «in modo da ostacolare - scrive il giudice - concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

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