Incidente di caccia mortale una vittima, ma due «verità»

di Sergio Damiani

La procura ha chiesto il rinvio a giudizio di Luigi D'Iseppo Da Rin, il 53enne di Porte Rendena accusato di omicidio colposo per la morte, durante una battuta di caccia, del 70enne Michele Penasa. L'incidente venatorio risale alla sera dell'11 settembre 2017 in località Zighignu di Vigo Rendena. L'imputato, difeso dall'avvocato Mauro Bondi, comparirà in udienza preliminare davanti al gup Claudia Miori a fine aprile. Le indagini condotte dal procuratore Marco Gallina hanno chiarito i contorni, all'inizio non perfettamente nitidi, di quella tragedia. Nel capo di imputazione la procura segnala che Da Rin quel giorno era impegnato in attività venatoria, in giornata nebbiosa ed in orario successivo al tramonto esplodeva un colpo di fucile pensando di aver avvistato un cervo. In realtà si trattava di un amico cacciatore, Michele Penasa che fu colpito a morte all'aorta. Secondo l'accusa si tratta di omicidio colposo perché l'imputato ometteva «per colposa imprudenza di accertarsi di aver effettivamente avvistato un animale cacciabile».  

Al momento dello sparo in località Zighignu erano presenti due cacciatori, entrambi esperti: da Rin, che poi fece partire il colpo mortale, e il rettore della riserva di Vigo Rendena Carlo Stefani, testimone oculare della tragedia. Dagli atti d'indagine emerge che le deposizioni rese dai due davanti ai carabinieri non coincidono. Da Rin ha raccontato di aver chiesto conferma della presenza di un cervo all'amico che avrebbe risposto in senso affermativo. Stefani ha ribattuto che Da Rin aveva fatto tutto da solo. L'impressione è che la procura abbia dato credito al racconto del testimone visto che imputato è il solo Da Rin. Ma vediamo nel dettaglio le due versioni rese davanti ai carabinieri. Da Rin disse di essersi accorto «di un movimento tra dei cespugli. Siccome non avevo un binocolo ho chiesto allo Stefani di verificare con il binocolo cos'era. Abbiamo notato un colore bianco e del colore marrone che ci ha fatto credere che potesse essere una femmina di cervo. Ricevuto come risposta che era grosso, a quel punto ho preso la mira verso la direzione dove avevamo notato i movimenti ed i colori bianco e marrone e ho premuto il grilletto sparando solamente un colpo». Purtroppo Da Rin si sbagliava: quella sagoma bianco-marrone non era un cervo ma il povero Penasa.  

Stefani però ai carabinieri ha negato decisamente di aver dato il via libera allo sparo: «Scendevamo tra i prati e il bosco limitrofo per circa 50 metri. Io avevo il fucile nello zaino che portavo in spalla mentre il Da Rin che mi precedeva teneva il fucile in mano in atteggiamento da caccia. Improvvisamente il Da Rin mi diceva che, in un boschetto di una decina di betulle situato in mezzo al prato, aveva notato muoversi un cervo. Io gli rispondevo che non lo vedevo. A quel punto ho notato che il Da Rin D'Iseppo si posizionava a terra e puntava l'arma verso il boschetto dicendomi che vedeva la macchia bianca del sedere del cervo. Poi ha preso velocemente la mira e ha fatto fuoco». 
Ora accanto alla partita penale si apre il delicato capitolo risarcitorio, importante anche in vista di un possibile rito alternativo. Le parti offese, cioè moglie e figli della vittima, sono assistiti dagli avvocati Carmen Collini e Mattia Gottardi.

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